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A votare non sono le leggi elettorali

Giuliano Ferrara

Dal Parlamento britannico appeso come un caciocavallo c'è una lezione per l’Italia

Gli inglesi sono un po’ matti, e infatti come si canta con Noël Coward solo i Mad Dogs & the englishmen escono sotto il sole di mezzogiorno. Gavin Barwell, ministro della sconcertante Theresa May, scarpe leopardate e tiritere, ha perso un seggio in bilico (marginal seat): aveva appena pubblicato un libro dal titolo “Come vincere un seggio in bilico”. I Tory avevano assoldato senza paura un tizio, il favoloso Jim Messina, che aveva dato una mano per la vittoria a Obama, cosa relativamente facile, e poi aveva proceduto di grado in grado con Rajoy in Spagna quando fu sconfitto e con Renzi per la campagna del referendum del 4 dicembre, e si sa come è andata: buona idea, no, mettere a contratto Jim? Jeremy Corbyn ha perso con brio, e risulterebbe il vincitore morale, che è sempre una bella consolazione. Lui e la May erano i due timidi nella campagna sulla Brexit, hanno fatto l’ammuina invece di battersi per le loro idee, e poi della Brexit si sono spartiti le conseguenze. Theresa ha fatto la faccia feroce come sapeva e poteva, assai male, e ha minacciato una hard Brexit, cioè l’uscita piena e senza condizioni dal mercato unico, dall’unione doganale e dallo scambio migratorio, perdendo un ipotetico charme presso l’establishment e i fondi finanziari, che non sono proprio estranei alla constituency dei Tory. Jeremy ha fatto il furbo, lui che è bolivariano, un tantino venezuelano, lui che dirige un partito ricettacolo di tutte le castronerie e le leggerezze pesanti, anche antisemite, che sempre accompagnano i sogni e le speranze di chi si proclama difensore dei deboli e dei dannati della terra, di chi vuole nazionalizzare e spendere a casaccio in nome della speranza, e il suo tiepidume riconvertito ha convinto un bel pezzo dell’elettorato, in particolare nella popolosa e fatale Londra, a dargli una chance. Molto ha contato il voto dei giovani, una bizzarra categoria politico-elettorale, va detto nonostante qui si sia diretti da un fenomenale millennial, che ci ha già dato Trump, con il rutilante movimento di Bernie Sanders, e il caro amico Pomicino di ritorno, con il fronte del No. Chissà che cosa altro hanno in serbo per noi i killer dai 18 ai 34 anni, chissà.

   

Ora bisogna fare i conti con un parlamento appeso, come un caciocavallo di Benedetto Croce, e in Europa sono mezzo preoccupati mezzo ilari: trattare con una signora Nessuno di Sua Maestà può risultare spiacevole, farraginoso, lungo e complicatissimo, ma avere un interlocutore debole invece che fortissimo, come da previsioni smentite della snap election, può anche dare sbocco alla voglia di fare una Brexit molle, salvando il mercato unico e altre importanti cosucce commerciali. Il sistema è imbizzarrito, non è nemmeno escluso che la May venga congedata, e l’idea di un vertice occidentale in bilico tra l’Impostore di Washington e Boris Johnson ha un suo che. Il rapporto franco-tedesco con Macron e la Merkel, se le cose si configureranno come sembrano impostate, è l’àncora di salvezza, la boa intorno a cui gira ormai tutta la corsa, e quelle due aree politiche e culturali, luoghi privilegiati del residuo delle grandi élite occidentali, hanno storicamente qualche carta importante da giocare in un mondocane ringhioso e indecifrabile.

  

Morale. Le elezioni anticipate sono una cosa fantastica, e il potere del premier di convocarle a piacimento uno dei marchingegni più invidiati della governabilità britannica, ma come avevamo preavvertito in un paese che si ubriaca di leggi elettorali, e non è ancora uscito dall’hangover, non votano le leggi ma gli elettori, ragion per cui anche con il maggioritario “first past the post” si può non conoscere il vincitore delle elezioni un minuto dopo l’apertura dei seggi. Noi tra un singhiozzo e l’altro voteremo alcool free, al contrario degli inglesi, alla data convenuta e con una legge proporzionale con correttivo ipotetico congegnata dagli alti magistrati della Corte costituzionale, due circostanze che al momento, vista la parata, sembrano condizioni eccellenti (urca) di governabilità. Non ebbimo d’altra parte il privilegio di vincere la Seconda guerra mondiale con Churchill, e la curiosità eccentrica di trombarlo come primo ministro, subito dopo, scegliendo al posto suo Clement Attlee.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.