Marck Zuckerberg (foto LaPresse)

La svolta grillina di Zuck, fra utopie digitali e reddito di cittadinanza

Al ceo di Facebook non basta più la retorica social, vuole un nuovo contratto sociale per donare al mondo l'uguaglianza

New York. Il discorso di Mark Zuckerberg ai laureati di Harvard si è aperto con la solita minestra motivazionale e si è chiuso con la virata grillina. La fase “stay hungry, stay foolish”, inevitabile nello schema consolidato del discorso universitario, ha ceduto il passo alla condanna delle diseguaglianze, al reddito di cittadinanza, alla democrazia online, al contratto sociale da rinnovare. Uno Zuckerberg populista? Certo, l’ambientazione è paradossale per una metamorfosi del genere, ma non bisogna dimenticare che Harvard ha accolto perfino Luigi Di Maio. Per arringare gli studenti dell’università che non ha mai finito (“se riuscirò a concludere questo discorso, sarà la prima cosa che finisco a Harvard”) il ceo di Facebook ha abbandonato la divisa ufficiale – la maglietta monocolore – e si è presentato in cravatta, segno visibile della svolta politica che è in atto ormai da mesi. Non significa che Zuckerberg un giorno si getterà nella carriera politica in senso proprio, ma che sta già facendo politica con una sapiente mistura di evangelismo social della connessione e di afflati egalitaristi. Anni fa voleva soltanto “un mondo più aperto e connesso”, e tutti i benefici in termini di diritti e prosperità sarebbero piovuti giù a cascata, ora si rende conto che la magia non ha funzionato e si offre volontario per cambiare il sistema, rendendosi disponibile a pagare di tasca propria – assieme agli altri miliardari – il prezzo per riequilibrare il tavolo delle opportunità.

 

Lo Zuckerberg in maglietta scrive manifesti con visioni utopiche sull’avvento e dell’uomo nuovo – l’uomo connesso – il suo gemello in cravatta promuove iniziative per gli studenti, fa lobbying per i visti, si propone di aggiustare le crepe della democrazia per fermare l’ondata illiberale. Lo Zuckerberg attivista è quello che racconta del cinismo disperato e inevitabile di un ragazzo di una non meglio specificata minoranza che ha incontrato facendo lezione in una scuola di un distretto povero attorno alla Silicon Valley. Il giovane è rassegnato perché non vede possibilità aprirsi per quelli come lui. Si potrebbe notare che il giovane, molto probabilmente ispanico – l’82 per cento della scuola che ha frequentato è latinos – avrà grandi difficoltà a farsi assumere da un’azienda come Facebook, che ha soltanto il 4 per cento di dipendenti ispanici, ma significherebbe sminuire la grandezza epica del discorso zuckerberghiano.

 

La sua ambizione, oggi, non è soltanto connettere le persone, ma trovare in ciò che si fa uno scopo più grande del successo o del profitto. E si va anche oltre: “Sono qui per dirvi che trovare il vostro scopo non è abbastanza. La sfida per la nostra generazione è creare un mondo dove tutti hanno il senso di uno scopo”. Occorre fornirlo anche a chi non ce l’ha: è la nuova frontiera dell’uguaglianza, per evitare che un giorno si arrivi a una società divisa fra chi ha uno scopo e chi non ce l’ha. Lo potremmo chiamare il “purpose gap”. Su questa passione per l’uguaglianza s’innesta il discorso grillino: “Dovremmo avere una società che misura il progresso non solo in termini economici, ma su quanti di noi hanno un ruolo che ci dà significato. Dobbiamo esplorare idee come il reddito universale per dare a tutti una rete per provare nuove cose”. Il voto online è il passo necessario per rafforzare la democrazia, e quando si affaccia il timore di un riferimento alla democrazia diretta ecco che magicamente spunta Rousseau, non nel senso della piattaforma a cinque stelle ma in quello del contratto sociale: “Ogni generazione allarga la sua definizione di uguaglianza. Le generazioni precedenti hanno combattuto per il voto e i diritti civili. Avevano il New Deal e la Great Society. Ora è arrivato il momento di ridefinire il contratto sociale per la nostra generazione”.