Le forze di sicurezza egiziane sul luogo dell'attentato di venerdì (foto LaPresse)

Strategia anticristiana

Lo Stato islamico gira il video di una strage di copti nel sud dell'Egitto

Daniele Raineri

Un checkpoint per uccidere i cristiani, l'escalation fa parte del piano dell'Isis per allargare la guerra contro il Cairo

Roma. In qualche modo una cellula dello Stato islamico a sud del Cairo in Egitto ha mandato – o sta mandando – in Siria il materiale grezzo girato venerdì con una telecamera durante il massacro di 28 cristiani copti. Dal punto di vista del gruppo, è materiale importante da riversare su internet: dieci uomini travestiti da militari hanno piazzato un finto checkpoint sulla strada desertica che porta al convento di Anba Samuel, duecento chilometri a sud della capitale, hanno fermato due piccoli bus e un terzo veicolo, hanno chiesto di che religione fossero i viaggiatori, quando hanno avuto la conferma che si trattava di cristiani copti li hanno fatti scendere, li hanno picchiati, li hanno messi in riga e li hanno uccisi con colpi di fucile alla testa (anche alcuni bambini). L’attacco di venerdì ha molti punti in comune con un’altra strage di cristiani egiziani, erano ventuno, filmata su una spiaggia di Sirte in Libia nel gennaio 2015. Anche in quel caso il girato era stato spedito in Siria per essere trasformato in un video in alta qualità e poi fatto girare su Internet per far compiere un salto di notorietà alla fazione libica. Questa volta è possibile che gli egiziani dell’Isis abbiano mandato quello che hanno registrato al quartier generale di al Mayadin, che è una piccola città nel troncone siriano della valle dell’Eufrate diventata la nuova capitale minore dello Stato islamico, ora che Mosul e Raqqa sono ridotte a due trappole assediate da forze nemiche. Le finte divise, il checkpoint, la selezione, le uccisioni con un colpo alla testa, il video: sono tattiche già usate altrove, in Iraq, in Pakistan, in Libia. Ma il contesto più ampio è nuovo, da sei mesi a questa parte lo Stato islamico ha deliberato lo spostamento di tutti i cristiani egiziani dalla categoria dei “sottomessi” a quella degli “idolatri”, con le conseguenze che ne derivano: i sottomessi non devono essere uccisi a vista, ma gli idolatri sì. Da questa deliberazione ideologica – motivata dai fanatici con il fatto che i cristiani stanno con il governo del presidente Abdul Fattah al Sisi e quindi non sono neutrali – nasce l’escalation di questi mesi, che procede per fasi. Prima l’Isis ha colpito la cattedrale di Abbaseya, al Cairo (28 morti). Poi ha lanciato una campagna di sorveglianza e denuncia dei cristiani, in cui invitava tutti gli egiziani a fornire informazioni sui bersagli cristiani. Quindi ha compiuto una doppia strage, la domenica delle Palme, in due chiese ad Alessandria e a Tanta (44 morti), nella regione del delta del Nilo – quindi a nord del Cairo, all’opposto di dove è stata compiuta la strage di venerdì. Ora, ultimo giorno prima del mese sacro di Ramadan in cui gli attentati aumentano, è entrata in attività anche questa cellula dello Stato islamico a sud (è un’area con problemi storici di violenza islamista).

  

 

 

Il testo che giustifica i massacri

 

Se è chiaro che l’imboscata contro civili di venerdì è l’episodio più recente di questa campagna di massacri anticristiani, c’è da chiedersi: qual è la strategia dello Stato islamico? Il ricercatore Mokhtar Awad, della Georgetown University di Washington, cita un breve saggio jihadista scritto nel 2014 da un idoelogo dello Stato islamico, Abu Mawdud al Harmasy, che si chiede come mai gli egiziani siano così sordi al richiamo del jihad, “come fossero bestiame”, “non capiscono la realtà di questa lotta”. Per superare l’impasse, al Harmasy prescrive di attaccare i cristiani per alzare la tensione, incendiare le aree rurali e creare un clima di guerra contro il governo e i militari. La solita ricetta politica dell’Isis: incunearsi dove c’è già una spaccatura e sfruttarla, sia essa la guerra civile tra sunniti e sciiti in Iraq, oppure la lotta tra ribelli e assadisti in Siria, o ancora il conflitto tra est e ovest in Libia. In Egitto, i cristiani fanno da vittime sacrificali per scatenare la reazione armata dell’esercito e innescare un conflitto più ampio.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)