Moon Jae-in. Foto LaPresse/XinHua

Un esperto spiega la dottrina Moon in Corea: dialogo ed equidistanza

Giulia Pompili

Il presidente è entrato in carica ieri, e già deve destreggiarsi tra Washington, Pechino, Tokyo, Pyongyang. I rapporti di forza

Seul, dalla nostra inviata. Moon Jae-in ha giurato ieri da presidente della Corea del sud, il primo democratico dopo un decennio di conservatori al governo. E la sua presidenza, già entrata nella piena operatività, è destinata a cambiare di molto gli equilibri asiatici. La Corea del nord, l’ultimo paese del cosiddetto Asse del male lasciato indietro – se non quasi tollerato – dalla politica delle grandi potenze, ha quasi sicuramente raggiunto il suo scopo: diventare una potenza nucleare, con un arsenale di missili balistici capaci di colpire il territorio americano e i suoi alleati. E dunque non è difficile immaginare che le decisioni, ma soprattutto le opinioni sul tavolo per risolvere una crisi che va avanti da un ventennio determinino la politica, le alleanze, e polarizzino l’opinione pubblica tra falchi e colombe. “Quello che ha fatto Trump dall’inizio del suo mandato a oggi è stato semplicemente estremizzare la situazione”, dice al Foglio Tim Shorrock, scrittore e commentatore americano che vive tra la Corea, il Giappone e l’America, uno dei massimi esperti di questioni relative alla penisola coreana. “Si parlava di guerra, ma la verità è che qui in Corea non è stato nemmeno nominato un ambasciatore americano, figuriamoci”. L’Amministrazione Trump, invece, ha già da tempo inviato i suoi nuovi ambasciatori in Giappone e Cina, una mossa che ha provocato non poche malmostosità in Corea del sud.

 

Ieri Moon ha annunciato le sue prime due nomine, quella del primo ministro – Lee Nak-yon, governatore della provincia di Jeolla sud – e quella del capo dell’intelligence, Suh Hoon. Quest’ultimo non è una scelta casuale: è stato Suh a organizzare ben due incontri con autorità nordcoreane nel 2000 e nel 2007, e lui stesso negli anni Novanta ha vissuto in Corea del nord per partecipare a un progetto di business congiunto. “Io credo che Moon sia mosso davvero da una voglia di cambiamento della politica sulla Corea del nord”, continua Shorrock, “del resto la sua elezione per molti coreani non è altro che una continuazione della Rivoluzione democratica degli anni Sessanta”, quando lavoratori e studenti protestarono fino alla deposizione del presidente dal pugno di ferro e anticomunista, Syngman Rhee. “Adesso i falchi dicono che Moon è un antiamericano. Ma la verità è che basta dire qualunque cosa che non sia pro America per essere additato come antiamericano”, dice Shorrock.

 

Il presidente Donald Trump e il suo omologo cinese Xi Jinping ieri hanno inviato gli auguri a Moon pressoché contemporaneamente. Da una parte, Trump ha inviato un messaggio molto formale, senza però sentire al telefono Moon. Dall’altra Xi ha subito fatto riferimento al Thaad, lo scudo antimissilistico americano che Pechino vorrebbe rimuovere dal territorio sudcoreano per motivi strategici. Moon durante la campagna elettorale aveva detto di voler rinegoziare con Washington la sua attivazione, frasi che avevano fatto accelerare la sua istallazione da parte delle Forze armate statunitensi. Non hanno facilitato le cose le dichiarazioni di Trump, che qualche settimana fa ha chiesto un miliardo di dollari l’anno alla Corea del sud per la sua protezione militare. La posizione della Casa Blu non è facile, adesso. Scegliendo una linea politica, è praticamente certo che Moon scontenterà una delle potenze che mirano all’influenza sulla regione. Senza contare che i rapporti diplomatici tra Corea del sud e Giappone continuano a essere ai minimi storici, anche perché il nuovo presidente di Seul ha già detto di voler rinegoziare il trattato firmato nel 2015 tra i due paesi sulle cosiddette donne di conforto. “A questo punto bisogna solo sperare che riesca a trovare un modo per negoziare”, dice Shorrock. Ma a negoziare con tutti – con Washington, con Pechino, con Tokyo, con Pyongyang – si rischia spesso di sbagliare. Del resto, quel che succederà nella penisola coreana con la presidenza Moon innescherà una serie di reazioni a catena molto più grandi di quel che possa sembrare.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.