Il premier giapponese Shinzo Abe (foto LaPresse)

Tokyo usa la Corea del nord come occasione per riarmarsi

Giulia Pompili

Non è un caso se la modernizzazione della Costituzione giapponese in senso anti-pacifista sia tornata di moda mentre infuria la crisi con Pyongyang

Roma. Oggi in Giappone si celebra il Giorno della Costituzione, una festa nazionale che ricorda la promulgazione della Carta – quella scritta dagli americani e adottata da Tokyo nel 1947 dopo la resa incondizionata post bellica. Quest’anno è il settantesimo anniversario, e ieri, durante un incontro pubblico, il primo ministro Shinzo Abe ha detto che sarebbe “un passaggio storico” riuscire a far approvare una riforma costituzionale proprio quest’anno. La “modernizzazione” che da anni il Partito liberal democratico di Abe tenta di far passare riguarda naturalmente la natura pacifista della Costituzione nipponica e in particolare l’articolo 9, nel quale è scritto il divieto per il Giappone di dotarsi di un esercito (le Forze armate giapponesi, a oggi, sono in realtà Forze di autodifesa e possono intervenire solo se il territorio giapponese fosse direttamente e deliberatamente attaccato).

  

Sin dagli anni Cinquanta, quando al governo c’era il nonno di Abe, Nobusuke Kishi, quell’articolo 9 viene considerato da gran parte dell’opinione pubblica il simbolo del pacifismo giapponese del Dopoguerra, la promessa di non tornare più all’aggressività imperialista. Il problema, però, è che in settant’anni il mondo è cambiato. E la Costituzione giapponese è estremamente rigida, e per riformarla c’è bisogno di una maggioranza qualificata in Parlamento ma anche di un referendum popolare. L’opinione pubblica, dunque, deve stare con quelli che vogliono l’esercito, e per iniziare a preparare la strada a un referendum i giapponesi devono capire quanto è importante difendersi. Non è un caso se la discussione sulla riforma costituzionale sia tornata prepotentemente nella contesa politica giapponese in un momento di tensione con la Corea del nord. Da qualche settimana sono partite in alcune prefetture giapponesi le esercitazioni d’emergenza in caso di attacco missilistico, e da una decina di giorni il Giappone – e non la Corea del sud – ha approvato un protocollo di sicurezza semmai dovesse arrivare dal cielo una bomba nordcoreana.

 

Domenica scorsa, subito dopo il test missilistico probabilmente fallito da parte di Pyongyang, tutti i treni su territorio giapponese si sono fermati. E i treni, in Giappone, si fermano soltanto in caso di terremoti e di altre tragedie. Il rischio di essere l’obiettivo di un missile nordcoreano il Giappone lo corre: almeno cinque degli ultimi missili testati sono finiti nelle acque territoriali nipponiche. Ma è difficile immaginare un attacco deliberato di Pyongyang contro una metropoli nipponica: prima ci sono i nemici di sempre, come l’America e la più vicina Corea del sud. Nello stop ai treni per motivi di sicurezza, però, c’è una componente evocativa: un attacco nordcoreano è imprevedibile, e per questo possibile, dunque meglio attrezzarsi. Nel frattempo Tokyo ha schierato, a fianco della “Big armada” americana, la sua più grande nave da guerra per contrastare eventuali minacce. E mentre la strategia di Washington è quella del bastone e della carota – con Tillerson che apre ai colloqui e Trump che dice di non escludere una guerra, ma in fondo Kim lo capisce – le dichiarazioni più bellicose contro la Corea del nord vengono stranamente da Tokyo.

 

Dichiarazioni che non sono passate inosservate in Corea del sud, e una fonte del Foglio, che preferisce rimanere anonima per il ruolo pubblico che ricopre, dice che a Seul in molti si stanno domandando come mai Shinzo Abe si stia muovendo dietro le quinte ma con un fare così aggressivo (“forse per distogliere l’attenzione dai guai del suo governo?”, riferendosi allo scandalo dell’asilo nazionalista forse finanziato dalla first lady). Un attivismo confermato da alcune notiziole: si sa da diverse fonti che Abe ha parlato telefonicamente con il presidente americano prima del suo viaggio in Russia, dove ha incontrato il presidente Vladimir Putin. Secondo l’Asahi shimbun, Abe e Trump avrebbero parlato al telefono di nuovo lunedì scorso, per trenta minuti, e sull’oggetto della conversazione non sono stati dati dettagli.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.