Roma, appello per la liberazione di Gabriele Del Grande. Foto LaPresse / Roberto Monaldo

Crisi Italia-Turchia sul caso Del Grande

Redazione

La Farnesina segue la vicenda del giornalista Gabriele Del Grande, arrestato al confine siriano e trattenuto "per motivi di sicurezza nazionale". Intanto nel paese la situazione si complica, con manifestazioni contro l'esito del referendum e arresti 

La Farnesina e l'ambasciata d'Italia ad Ankara stanno seguendo il caso del giornalista Gabriele Del Grande, arrestato il 9 aprile dalle forze di sicurezza turche al confine con la Siria. Il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, ha disposto l'invio a Mugla - dove Del Grande è detenuto - del vice console italiano e di un legale turco designato a seguire il caso, ma la delegazione non ha ancora potuto incontrare il giornalista. Intanto Alfano ha detto di aver sentito il suo omologo turco Mevlüt Çavuşoğlu da cui ha ricevuto rassicurazioni riguardo una rapida conclusione della vicenda. Il ministro turco si è detto attento e impegnato sul caso, ma intanto la delegazione consolare inviata a visitare il giornalista non ha ancora potuto incontrarlo. 

   

La Farnesina chiede con insistenza, fin dal primo giorno di questa vicenda, che il giornalista possa ricevere regolare assistenza legale e consolare. "Sto bene, non mi è stato torto un capello”, ha detto il documentarista martedì pomeriggio nell’unica chiamata che gli è stata concessa e ha annunciato uno sciopero della fame. "I miei documenti sono in regola, ma non mi è permesso di nominare un avvocato, né mi è dato sapere quando finirà questo fermo - ha detto Del Grande - Sto bene, ma non posso telefonare, hanno sequestrato il mio telefono e le mie cose, sebbene non mi venga contestato nessun reato".

 

La mobilitazione per Del Grande ha coinvolto amici e parenti, che sono stati ascoltati durante una conferenza stampa in cui il presidente della Commissione diritti Umani del Senato, Luigi Manconi, ha spiegato di aver avuto un colloquio con l'ambasciatore turco in Italia. Il fermo del giornalista sarebbe legato a profili di sicurezza nazionale, ha detto Manconi. La richiesta avanzata alle autorità turche è che Del Grande possa ricevere una delegazione composta da un medico, un avvocato e un esponente dell'ambasciata italiana in Turchia. Il senatore ha chiesto che l'attenzione sul caso Del Grande resti elevata anche da parte dei cittadini, senza cui l'attività diplomatica rischia di diventare meno efficace. Nell'appello presentato oggi durante la conferenza stampa, firmato da diversi giornalisti e documentaristi, da amici e familiari, si chiede che le massime istituzioni del paese "si attivino con urgenza nei confronti delle autorità turche per garantire tutela dei diritti" ad un proprio cittadino nonché ad "un professionista di altissimo spessore e valore civile". 

     

Intanto in Turchia il clima politico e sociale si inasprisce. Almeno 49 persone sono state arrestate a seguito delle proteste contro i risultati del referendum del 16 aprile. Circa 14 manifestanti sono stati fermati nella provincia di Antalya, dove la maggioranza degli elettori ha votato "No" alle modifiche costituzionali. Altri 10 nella provincia di Eskişehir, nel nord-ovest dell’Anatolia, tra cui Emine Kaya, il leader della sezione locale del Partito democratico curdo (Hdp). Sei persone sono state arrestate a Smirne con l'accusa di "insulti a funzionari statali” e altre 19, sempre a Smirne, in seguito a proteste nel quartiere di Bornova.

 

Dopo una risicata vittoria per il campo del "Sì", molti elettori hanno rifiutato i risultati e alcuni gruppi di opposizione hanno dichiarato che le elezioni sono state segnate da irregolarità e frodi. La protesta è montata dopo che l'Alta Commissione elettorale (Ysk) ha deciso – a metà giornata di voto – di accettare come valide le schede elettorali non sigillate dal timbro ufficiale. Un mukhtar, il capo villaggio, che infila quattro schede in un'urna. Una mano ignota che segna tre "Sì" su altrettante schede. Qualcuno che ne aggiunge altri cinque. Un funzionario elettorale che ne convalida un mucchio, ore dopo la chiusura del voto. Sono solo quattro delle scene catturate in alcuni dei video che hanno contribuito ad alimentare le accuse di frode nei seggi in tutta la Turchia durante il referendum di domenica.

Anche secondo l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce), non sono stati garantiti gli standard internazionali e la campagna referendaria non ha dato spazio al “No”. Oltre agli eventuali brogli, infatti, già nei mesi precedenti il voto la campagna è stata segnata da arresti e intimidazioni, in un clima generale profondamente segnato dallo stato di emergenza, promulgato dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio e rinnovato domenica scorsa per ulteriori tre mesi. Le ragioni del “No”, hanno spiegato gli undici osservatori dell’Osce, che hanno seguito da Ankara lo svolgimento del referendum fin dal 25 marzo, “sono state offuscate dalla posizione di alti funzionari pubblici che hanno equiparato i sostenitori del 'No' a fiancheggiatori del terrorismo”. Sarebbero "circa 2,5 milioni le schede sospette", ha spiegato la deputata austriaca di origini turche Alev Korun, membro della delegazione di osservatori dell'Osce. 

La Commissione elettorale turca Ysk esaminerà oggi i ricorsi presentati formalmente dai repubblicani del Chp, principale partito di opposizione. Secondo il quotidiano Cumhuriyet, nella giornata di martedì più di 200 mila cittadini hanno presentato reclamo all'Ysk nelle città di Ankara e Istanbul.