Theresa May (foto LaPresse)

Brexit non è addio

Mario Sechi

Nel Regno Unito devono trattare duramente con Bruxelles ma con margini di flessibilità per non perdere l’accesso al mercato unico, reinventare la manifattura e fare un taglio fiscale per mantenere e attrarre investimenti

Brexit! Theresa May oggi consegnerà la lettera a Bruxelles, si apre la trattativa per l’uscita dall’Unione. L’impresa inglese – come spesso capita agli abitanti dell’isola d’Inghilterra – è temeraria, il solo cambio della regolazione è ciclopico, siamo di fronte a una sorta di riscrittura delle norme, a una rifondazione del paese. Chi dice che non accadrà nulla si sbaglia, come si sbagliava chi affermava che sarebbe crollato tutto. Nessuno può dire con certezza quale sarà il punto di caduta di questa storia. Prima di Trump la Brexit non aveva un chiodo al quale appendere il quadro, con il sottosopra americano si è aperto uno spazio nuovo, bisogna vedere se l’ex impero ha ancora la capacità non solo di pensarsi ma di agire come un impero. Stamattina sul Financial Times un articolo di Martin Wolf è ammobiliato da due grafici:

Nel compra e vendi del Regno Unito l’Europa resterà fondamentale (area azzurra) e il resto della partita si gioca sui territori del vecchio impero, nel Commonwealth. L’organizzazione conta 52 membri, il vero gigante è l’India, il piano è quello di fare un Empire 2.0 che così sembra una roba hi-tech ma in realtà è il caro, vecchio, rassicurante commercio. Per ora è tutto sulla carta o, meglio, i rapporti esistono, ma visti i numeri la sostituzione dell’Europa appare impossibile. Gli inglesi devono trovare un accesso al mercato unico e la cosa si scontra con le fauci fameliche degli altri paesi: francesi e tedeschi vogliono attrarre dentro i loro confini pezzi della City, agenzie europee, competenze che gravitano su Londra ma non si sa per quanto. Che cosa succederà? John Authers stamattina sul Ft segnala questo grafico di Oxford Economics sul percorso e i possibili esiti:

A Downing Street devono trattare duramente con Bruxelles ma con margini di flessibilità per non perdere l’accesso al mercato unico, reinventare la manifattura e fare un taglio fiscale per mantenere e attrarre investimenti. Tutto molto difficile, ma finora i dati hanno contraddetto le teorie catastrofiste degli economisti. Brexit non è addio, ma un incontrarsi di nuovo con un altro patto scritto dopo aver rotto i piatti. In fondo, il geniale titolo del Sun quando gli inglesi decisero di uscire, il 23 giugno del 2016, fu profetico:

E infatti ci si rivede. E le sorprese saranno tante. Gli economisti, gli intellettuali a prescindere, le penne spiumate del mainstream e i profeti del “so tutto io” ancora non hanno imparato la lezione della Brexit e della vittoria di Trump. L’altro ieri spiegavano che non avrebbero mai vinto, ieri spiegavano perché hanno vinto e oggi ci spiegano perché sono una sventura e perderanno. Se li pagassero per numero di previsioni azzeccate e righe resistenti alla prova del fact-checking sarebbero poveri in canna, anzi per dirla con Gordon Gekko, se vendessero bare non morirebbe più nessuno. Ma inspiegabilmente questi produttori seriali di corbellerie (per soprammercato scritte male) restano al loro posto, scrivono sui giornali, piovono come secchiate d’acqua in tv, gli editori se li tengono e qui si va avanti a predicare nel deserto.

La Brexit è il picco sismografico di una crisi che in soli vent’anni ha sfiammato come uno zolfanello una spettacolare ascesa e una rovinosa caduta. Il titolare di List consiglia di leggere il libro di Mervin King, The End of Alchemy. King è l’ex governatore della Bank of England, è un uomo equilibrato, un economista stimato, insomma, il tipo giusto per stare con i piedi per terra e non finire nella trappola della retorica del politicamente corretto. King ricorda che “gli economisti e chi lavora nei mercati finanziari hanno un’eccessiva confidenza nelle loro capacità di prevedere il futuro” e chiede di cominciare a mettere in discussione idee che evidentemente non funzionano più. Abbattere totem e tabù. Sigmund Freud in quel testo trovò somiglianze tra la vita psichica dei selvaggi e quella dei nevrotici. Guardatevi intorno, senza farvi notare: chi sono i selvaggi? E chi i nevrotici?

Di più su questi argomenti: