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Il bozzolo che ferma il mondo

Paola Peduzzi

Cass Sunstein, giurista ed economista che ha lavorato con Obama, ci spiega i costi sociali e politici di chiuderci in un’enclave informativa con chi la pensa come noi. Il libro “#Republic” e il “bottone delle opinioni contrarie”

Milano. Louis Brandeis, uno dei più grandi giudici della Corte suprema americana dell’inizio del Novecento, diceva che la minaccia più grande per la democrazia è “la gente inerte”, e che fosse un dovere civile, dello stato e dei media, stimolare i propri cittadini, mettendoli a confronto con prospettive anche in competizione tra di loro, ma investendo sulla loro curiosità. È da questo impegno a confrontarsi con il diverso – alla base della cultura americana e occidentale – che parte “#Republic.  Divided Democracy in the Age of Social Media”, un saggio dedicato alle conseguenze politiche e culturali di un’informazione sempre più personalizzata e insulare. L’autore è Cass Sunstein, la cui storia meriterebbe a sua volta un libriccino a parte: giurista ed economista, oggi professore alla scuola di Legge a Harvard, Sunstein ha insegnato per quasi trent’anni alla scuola di Legge dell’Università di Chicago, è amico di Barack Obama, ha servito nella sua prima Amministrazione come “zar” della regolamentazione, ed è sposato con Samantha Power, ex ambasciatrice americana all’Onu. In Italia Sunstein è noto per un libro che scrisse nel 2008 con Richard Thaler, “La spinta gentile”, che è un manuale cardine dell’economia comportamentale, quella che prevede spintarelle paternalistiche da parte dello stato per attivare nei cittadini meccanismi considerati virtuosi o semplicemente desiderati dal governo di quel momento. Alla base, l’individuo resta libero di scegliere, e anche quando Sunstein si avventura nel mondo dell’informazione non si accanisce sui social media, semmai sull’utilizzo che le persone fanno del mezzo. “La tecnologia è cambiata, la natura umana no, è abbastanza costante da secoli – dice Cass Sunstein al Foglio – Con l’ascesa dei social media, e con sempre più alternative di interazione online, è semplicemente più facile stare con persone a cui piace quello che facciamo e pensiamo, ed è più facile associarsi con questi ‘amici’, o almeno dare ascolto a molti di loro. Facebook ti rende più semplice ‘vivere’ a tutti gli effetti in un mondo che ha idee politiche a te congeniali. E sarà sempre più così nei prossimi decenni: i costi di creare un bozzolo confortevole e comodo sono molto bassi”. In questo bozzolo però, in cui si sta benissimo perché puoi trovare soltanto simili che condividono molto di te e delle tue passioni, si rischia di diventare inerti, di perdere curiosità, e anzi di rifiutare chi la pensa diversamente, pure con una certa violenza. “Sempre più persone sono allarmate e infastidite da punti di vista che non condividono”, dice Sunstein.

 

I bozzoli sono il motivo dell’enorme polarizzazione che c’è oggi, nella politica e nelle idee: “Abbiamo sempre amato le enclave – dice Sunstein – ma l’abilità con cui oggi ci infiliamo nei bozzoli dell’informazione crea un problema per la democrazia, perché diminuisce la capacità di comprensione reciproca e aumentano inimicizia e antagonismo”. Riprendendo una formula degli anni Novanta di Nicholas Negroponte, Sunstein dice che oggi abbiamo a disposizione un “Daily me” permanente, spesso creato dagli stessi social media che scelgono per noi quel che ci piace, al punto che non guardiamo più nient’altro. Ma siamo noi che diamo a Facebook o a Google la possibilità di creare un prodotto su misura per noi, lasciando che i nostri interessi e le nostre opinioni stabiliscano dimensione e colore del nostro bozzolo. Siamo noi che, affascinati dalla possibilità di avere tutto quel che ci piace senza dover lasciare il tinello, evitiamo il confronto, ci teniamo alla larga da chi è diverso da noi. Questo accade a tutti, qualsiasi sia l’orientamento politico, e online il processo è deturpato dalle interferenze dei troll che in effetti fanno passare la voglia di mettersi in discussione. “Io cerco di leggere opinioni differenti – dice Sunstein – alla mia destra e alla mia sinistra. Ho lavorato con il presidente Obama, e generalmente il Wall Street Journal si trova alla mia destra, ma imparo molto leggendolo. Provo a non pensarmi come parte di un ‘gruppo’ o di una ‘tribù’, prendendo le questioni individuali per come mi arrivano”. Ma è chiaro che questo slancio subisce colpi sempre meglio assestati, altrimenti non si capirebbe gran parte dell’incomunicabilità che esiste nella politica odierna. “C’è una relazione tra le enclave informative in cui ci rifugiamo e il populismo – spiega Sunstein – Se vivi in un’enclave di gente arrabbiata, finirai anche tu per urlare: ‘Liberiamoci di tutti gli altri idioti!’. Il populismo ha molti vantaggi, ma le democrazie che funzionano non si fondano sui referendum, che creano il rischio di giudizi malinformati. James Madison, l’eroe del mio libro, l’aveva capito”, aggiunge Sunstein facendo riferimento al quarto presidente degli Stati Uniti “padre del Bill of Rights”. Come scrive Sunstein in “#Republic”, “c’è un’enorme differenza tra il populismo o la democrazia diretta e un sistema democratico che vuole garantire discussione e riflessione ma anche responsabilità”.

 

Sunstein propone alcune strategie per uscire dal bozzolo, la più intuitiva riguarda una specie di “bottone dell’opinione opposta”, “che puoi premere e avere così accesso a punti di vista diversi da quelli preponderanti nel tuo ‘feed’ di informazione”. E’ il concetto inverso a quel che accade nell’algoritmo di Facebook che invece seleziona per te tutto quello che, secondo le informazioni fornite, risulta per te rilevante. “Se pensi che i tuoi concittadini siano dei nemici – dice Sunstein – non sarai in grado di imparare da loro o di raggiungere un compromesso con loro. Non sei disposto a simpatizzare con quel che dicono o con le loro motivazioni”. Questo a lungo andare – ma non dobbiamo andare ancora a lungo – erode la capacità di una democrazia di trovare una sintesi delle necessità di un popolo, e anzi mina la struttura stessa dentro cui si muovono i partiti, i rappresentanti e i cittadini stessi. Per questo, benché non sia affatto un pessimista, Sunstein sostiene che sia necessario trovare un modo per riunire quel che si è frammentato e polarizzato nel discorso pubblico. Come disse Benjamin Franklin uscendo dalla Convention Hall in cui si discuteva la Costituzione americana nel 1787 alla folla che chiedeva: allora, che cosa avete trovato per noi? “Una repubblica – rispose Franklin – If you can keep it”.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi