Donald Trump (foto LaPresse)

Il voto per abolire l'Obamacare salta all'ultimo

Trump voleva andare avanti anche se i repubblicani non avevano i voti necessari. Ma alla fine il surreale presidente ha smentito i suoi stessi ultimatum

New York. Dopo una giornata di trattative febbrili, bizantinismi e  nonsense, lo speaker della Camera, Paul Ryan, in accordo con Donald Trump, ha deciso all’ultimo minuto di ritirare il disegno di legge per abolire l’Obamacare che era in procinto di essere votato. Ryan non aveva i numeri per approvare la legge, ma questo non aveva impedito a Trump di forzare incredibilmente la mano a forza di minacce e ultimatum. Chi ha letto “The Art of the Deal” sa che per Trump l’ultimatum è un cardine della trattativa. Si negozia, si litiga, si pretende e si cede, ma a un certo punto si fissa il prezzo: prendere o lasciare. Trattava così i costruttori che ingaggiava per i suoi palazzi, gente che “ti rubava la camicia di dosso” se ti distraevi un attimo. L’importante era far sapere di essere pronti ad alzarsi dal tavolo delle trattative e uscire dalla stanza in ogni momento. E’ una logica che s’accorda anche con i meccanismi eliminatori dei reality show. Trump ha usato per la riforma sanitaria lo stesso metodo con cui costringeva i contractor a cedere alle sue condizioni, ha fissato un ultimatum per votare il testo dell’American Health Care Act, la controriforma per soppiantare l’odiato Obamacare, e ha forzato la mano senza curarsi della doppia fronda che alla Camera si opponeva al Trumpcare.

 

Nella giornata politica più convulsa dall’inizio della presidenza, Trump voleva andare avanti anche quando lo speaker, Paul Ryan, è andato alla Casa Bianca a spiegare al presidente che i repubblicani non avevano i voti necessari per realizzare il miraggio conservatore degli ultimi sette anni. In uno degli scambi più surreali della giornata, il portavoce Sean Spicer ha risposto alla domanda più naturale durante il briefing con la stampa: “Se sapete che non avete i voti, perché votare?”. Risposta: “Non discutiamo la nostra strategia”. La realtà è che la strategia non c’è, e infatti alla fine il presidente ha ceduto, smentendosi. C’è al massimo un’idea non esplicitata, ma ampiamente praticata, che consiste nel tracciare una riga per dividere i buoni e i cattivi, i lealisti e gli approfittatori, quelli che vogliono davvero abolire l’Obamacare e chi gioca secondo le vecchie regole della politica.

 

Ieri il Daily Beast ha scritto che Steve Bannon ha consigliato al presidente di tenere un elenco degli oppositori politici all’interno del campo repubblicano, per distribuire con ordine punizioni e vendette. La forzatura del voto sulla riforma sanitaria doveva essere un assaggio di quella “decostruzione dello stato amministrativo” di cui parlava lo stratega qualche settimana fa, ma è stata soltanto una farsa. Trump si era in qualche modo cautelato quando ha detto che un voto negativo non avrebbe comportato la fine del mandato dello Speaker, e si era sforzato di mandare un messaggio inequivocabile al Congresso e agli elettori: “Questo è l’unico treno per abolire l’Obamacare”. Volete abolire l’eredità legislativa del nemico oppure essere parte della sua oscena legacy? Chi non sale sul treno, pagherà le conseguenze politiche. E’ il ragionamento ricattatorio e binario che può funzionare con un contractor a cui cavare un prezzo stracciato per le colate di cemento, ma non s’applica alla complessità di una trattativa politica, specialmente se riguarda una legge iconica che sposta fette enormi di budget. Aveva sintetizzato la situazione Mark Meadows, riottoso deputato repubblicano che giovedì verso mezzanotte i cronisti avevano fermato per l’ennesimo commento: “Non sono sicuro di niente ora, soltanto che voglio andare a letto”.

Di più su questi argomenti: