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I lupi solitari non sono soli, bisogna capire dove sono nella rete

Cristina Marconi

Brexit o non Brexit, il Regno Unito sarà nel mirino del terrore. L’esperto Pantucci ci spiega le priorità dell’antiterrorismo, come si studiano i legami tra terroristi e le loro armi

Birmingham. Non c’è Brexit che possa servire, non c’è taglio netto che possa evitare quello che è successo ieri sul ponte di Westminster, nel cuore delle istituzioni, certo, ma anche in quello del turismo, dei selfie, del Big Ben, dell’Abbazia di Westminster, dei matrimoni reali e delle candele nel vento di Elton John. Il Regno Unito, fuori o dentro l’Unione europea, resterà “un paese di crociati” e agli occhi del terrorismo internazionale di matrice islamica avrà “sempre una posizione strategica”. Ed essendo già fuori da Schengen non trarrà nessun beneficio dall’uscita dall’Unione europea, tanto più che Londra non smetterà di cooperare con le intelligence europee, anche se ha dimostrato nel tempo di “aver risolto più problemi” dei colleghi continentali, che non hanno “saputo far funzionare la cooperazione”, un fatto tristemente illustrato dai casi di Parigi e di Bruxelles.

 

Il Regno Unito deve adattare le sue priorità all’evoluzione di un terrorismo che lavora sempre più di minuzia e ha dimostrato di averlo saputo fare piuttosto bene fino a ora, “anche perché i suoi problemi sono iniziati prima nel tempo”, col terrorismo irlandese, la cui memoria è stata scoperchiata proprio in questi giorni dalla morte di Martin McGuinness. Ma non basta. Lo dice al Foglio il britannico Raffaello Pantucci, direttore degli Studi di sicurezza internazionale al Royal United Services Institute (Rusi) e autore di “Amiamo la morte quanto voi amate la vita: I terroristi dei sobborghi britannici”, resoconto puntiglioso di una realtà in rapida evoluzione. “Il problema è europeo, ci stiamo tutti confrontando con la stessa cosa”, osserva lo studioso, e non è che con la Brexit sarà meno gravoso il compito che gli agenti hanno davanti: imparare dall’ultimo fallimento, che non è un fallimento di intelligence – “lo sarebbe stato se dell’attentatore non avessero mai sentito parlare” – ma di priorità. “Non hanno visto il problema”, spiega l’esperto di terrorismo.

 

“Quando hai 3 o 4 mila persone d’interesse e magari qualcuno è finito nella lista solo perché ha un fratello che è andato in Siria, non puoi pensare di seguire tutti. Ci si concentra su chi è ritenuto ancora attivo, i mezzi sono limitati, per seguire qualcuno 24 ore su 24 ci vogliono 30 persone, sarebbe uno spreco farlo per tutti”, spiega l’esperto di terrorismo. Un attentatore cinquantenne come Khalid Masood non è la tipologia più frequente: la gente sparisce dai radar, cambia vita, fa figli, bisogna aspettare i prossimi giorni per capire “di che entità sarà questo fallimento”, se l’attentatore aveva dato segni di essere attivo. Ma Birmingham, dove ieri mattina ci sono stati i raid della polizia e gli arresti di persone ritenute coinvolte nell’attentato a Westminster, è un buco nero del paese, una Molenbeek britannica in cui non si riesce a penetrare, o il problema è diverso? “Birmingham secondo me c’entra poco, ci sono anche tanti casi di africani convertiti, tante di queste persone vengono da retroterra diversi, non sono solo casi emersi dalla comunità pachistana, ma staremo a vedere”.

 

Così come il disagio sociale non c’entra, sennò tutti i poveri sarebbero terroristi, una “linea di discussione” che passa attraverso questa lettura geografica “non è convincente”, come dimostra il caso di Marsiglia. “Poche città hanno i problemi che ha Marsiglia, ma i terroristi marsigliesi coinvolti in attentati sono pochissimi in proporzione”, aggiunge Raffaello Pantucci. Qui siamo davanti a un presunto “lone wolf”, definizione anch’essa fuori fuoco che non tiene conto del fatto che “i casi di persone totalmente distaccate dal mondo, senza una rete, sono rarissime” e che l’intelligence deve invece cercare di capire “dove si situano in questa rete, se serve a finanziarli, a motivarli, a coprirli, a sostenerli o a spingerli all’azione, anche da remoto”, come si è visto in molti casi in America.

 

E’ cruciale lavorare sulle connessioni anche minime in un momento in cui “le organizzazioni terroristiche non hanno i mezzi per far viaggiare la gente, addestrarla all’estero, farla tornare in Europa a colpire”, creare un movimento che possa saltare più facilmente agli occhi dell’intelligence. “Abbiamo una situazione che si esprime con regolarità, siamo nel mirino, ma nel Regno Unito non abbiamo avuto attentati di successo negli ultimi anni, stiamo lavorando duramente contro la minaccia terroristica, che resta comunque europea e da cui non si può uscire”, prosegue, ricordando come dopo il 2005 il Regno Unito abbia avuto solo attentati di piccolo cabotaggio da cui è riuscita a imparare molto. “Il fatto che siano stati messi al bando i laptop sugli aerei dimostra in che direzione si sta andando”, ossia quello dell’attentato arrangiato, fatto con cose che tutti hanno in casa, cose che nessuno chiamerebbe ancora armi.