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Attacco a Londra. Auto sulla folla e coltellate davanti al Parlamento, secondo il consueto schema islamista

Daniele Raineri

L’attacco in centro ha l’aria di uno smacco per l’antiterrorismo inglese, che ormai da tre anni porta avanti una campagna di indagini molto serrate per impedire il ripetersi a Londra degli attentati di Parigi e di Bruxelles

Roma. La reazione all’attacco che a Londra ha ucciso tre persone vicino al palazzo del Parlamento ha mostrato i segni di un meccanismo ben oliato per rispondere ai casi di attentati indiscriminati. I barellieri inglesi che soccorrevano i feriti avevano  addosso elmetti e giubbeti antiproiettile standard, come fossero in zona di guerra, pensati evidentemente nell’eventualità che dovessero tirare fuori feriti sotto il fuoco, durante una sparatoria non ancora finita. Gli uomini della squadra speciale che a Londra si occupa di reagire a questo tipo di attacchi (formata due anni fa) sono arrivati subito sul posto, alcuni ancora in jeans e scarpe da ginnastica senza il tempo di infilare la divisa grigia – come succede alla squadre israeliane che si occupano dello stillicidio di atti di terrorismo in casa loro e a volte sono sorprese in elmetto, giubbetto e pantaloncini corti. E, dopo l’assalto a Parigi di venerdì finito all’aeroporto di Orly, anche questo di mercoledì sul ponte di Westminster rafforza l’idea di un’Europa che è ormai costretta a pensare secondo parametri di rischio mediorientali. Un’ora dopo il comunicato della polizia che definiva l’episodio come un “attacco terroristico”, il sindaco musulmano di Londra, Sadiq Khan, ha parlato di “un incidente serio” – che è una coppia di parole molto generica e non rende l’idea di un deliberato piano per uccidere.

Non ci sono molti modi possibili di tentare una strage – specie quando non si dispone di armi vere, come nel caso di mercoledì – e così anche questo attacco londinese segue uno schema già visto in precedenza: prima lanciare la macchina contro i passanti, poi continuare all’arma bianca. Così, nello stesso modo, due jihadisti uccisero il soldato Lee Rigby nel maggio 2013 su un marciapiede di Londra. Come al solito, dopo un attacco si tenta di fare analisi intelligenti a caldo e di ricavare un qualche senso dal flusso di informazioni, ma la realtà è che questo modo di operare non è specifico di nessun gruppo terroristico in particolare. Hamas, al Qaida e lo Stato islamico raccomandano tutti di trasformare i veicoli in armi e di usare qualsiasi arma – anche un coltellaccio come quello ha ucciso un poliziotto inglese – per infliggere perdite più gravi possibili. Nel caso di Lee Rigby, i due attentatori erano vicini a Anjem Choudary, un predicatore che per anni si è tenuto sul filo del favoreggiamento all’Isis fino a quando non è finito in carcere, ma erano anche in contatto via Facebook con un predicatore yemenita non meglio identificato ma ritenuto filo al Qaida. Non è quindi dato di sapere ancora chi c’è dietro a questo attacco. E nemmeno aiutano, per ora, i tentativi di capire chi fosse l’attentatore. Il canale inglese Channel 4 dice senza specificare la sua fonte che si tratta di Abu Izzadeen, nome arabo di Trevor Brooks, quarantenne britannico di origini giamaicane che anima la scena dell’islam radicale londinese fin dagli anni Novanta. Altre fonti smentiscono con secchezza: lo stesso uomo è in carcere dopo una sentenza di colpevolezza arrivata a gennaio.

L’attacco in centro ha l’aria di uno smacco per l’antiterrorismo inglese, che ormai da tre anni sta facendo gli straordinari e porta avanti una campagna di indagini molto serrate e di occhiute operazioni di sorveglianza per impedire il ripetersi a Londra degli attentati di Parigi del novembre 2015 e di Bruxelles del marzo 2016. Mercoledì era un anno esatto da questo secondo attacco e la ricorrenza non è sfuggita – nel caso si tratterebbe di una firma dello Stato islamico, che di quella strage curò ogni aspetto, a partire dalla pianificazione a Raqqa, in Siria. L’anno scorso gli inglesi hanno fatto in media due arresti preventivi di sospetti estremisti ogni giorno, ma nessun dispositivo di sicurezza è impermeabile al cento per cento. Anche perché a Londra non ci sono soltanto i figli europei della recente mania filo Isis, ma anche i precursori, i padri e i cattivi maestri dell’islamismo radicale da più di vent’anni.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)