Emmanuel Macron (foto LaPresse)

Perché c'è da tremare per lo scontro tra Macron e Le Pen

Giuliano Ferrara

Il duello francese tra un Rothschild e una patriota della Francia di sotto e il passaggio tv che mai come oggi aiuterà a capire di che morte moriremo

Sabato e domenica i parigini li hanno vissuti in pieno Ottocento. Sabato Jean-Luc Mélenchon ha portato decine di migliaia di persone dalla Bastille alla République, sfilata di estrema sinistra e comunisti residui, tutti insieme dietro a un grande oratore che vuole abbattere la monarchia presidenziale, una VI Repubblica in nome del popolo, bandiere rosse e spirito comunardo. Domenica il socialista Benoît Hamon ha riempito il catino di Bercy e ha sciorinato i natali del socialismo francese, proponendo ovviamente Léon Blum e Jean Jaurès come padri nobili di una Repubblica nuova anche la sua, ma ecologica e sociale, e con l’handicap che tra i padri ci stava pure François Hollande, scarso di autorità. Ieri sera, e vedremo come va, tutta la Francia è ripiombata nel XXI secolo: dibattito televisivo in prime time e con la par condicio per i cinque maggiori candidati (il comunista, il socialista, il gollista, l’innovatore della “drauche” come fusione di droite e di gauche, la fascista patriottica antimondializzatrice). In palio non più sette anni di presidenza monarchica in cui un tizio o una tizia incontrano un popolo ma, per volontà di Nicolas Sarkozy, buonanima, solo cinque, le quinquennat presidentiel, uno in più del mandato che gli americani si contendono ogni quattro anni a colpi di dibattiti televisivi. Cuore, carisma e ideologia per il weekend, poi la bestiale contesa sui programmi. I quali, a onor del vero, non sono tutti uguali.

 

Nemmeno i candidati sono tutti uguali. Mélenchon è un vecchio tribuno all’ultimo giro, che piace perché è la costanza impersonificata, è uomo antico e combattivo, non un’anticaglia, e fa spettacolo. Hamon è un impacciato, non è rock, è lento, ma pur sempre il candidato istituzionale dei socialisti, per di più della tendenza di sinistra, che non si sa bene che cosa significhi, a parte il reddito universale che è la sua grande trovata, ma qualcosa significherà pure. Fillon è un bravo gaullista, cristiano, integro, così si è presentato, ha una piattaforma sempre più identitaria e securitaria, ha scelto “una volontà per la Francia” come nuova parola d’ordine, alludendo al suo carattere volitivo, che c’è, eccome, visto che insiste nonostante sondaggi bassini dipendenti dalle affaires, cioè gli impieghi fittizi presunti di moglie e figli per i quali è sotto indagine, e qualche regalino di buon taglio sartoriale, minuzie (a proposito, ho visto che da noi si cerca di capire come nasce la raccomandazione in Italia: e se si riguardassero l’epistolario di Cicerone o quello di poeti e notabili della Roma antica, tra potenti e clienti?).

 

I due oggi più importanti fra i débatteurs sono come sapete Emmanuel Macron, banchiere europeista e buon liberale, ni de droite ni de gauche, e quella che qui chiamano con grottesca correttezza linguistica la lideuse, la leadera, Marine Le Pen, una specie di Giovanna d’Arco rediviva che probabilmente arriverà prima al primo turno. I sondaggi sono favorevoli a Macron, sia perché lo danno presente al turno decisivo, che sarà ai primi di maggio, sia perché per la prima volta la percentuale dei macronisti certi della loro scelta sale, mentre era bassina, e il suo status di presidenziabile, come persona, è in ascesa nell’opinione sondata generale. Però Macron è quello che ha qualcosa da perdere dall’esposizione televisiva. Non ha esperienza in materia. E’ brillante ma ragionatore, va lungo molto spesso, che in tv non è un atout.

 

Il suo programma sembra fatto apposta per dispiacere agli elettori, abituati a sintesi propagandistiche ricche di libertà e povere di liberalismo, in più vuole aumentare del 40 per cento il prezzo del tabacco, e qui fumano, fumiamo, come turchi, il principio di precauzione e altri sanitarismi non li hanno ancora convinti a smettere. Eppoi c’è la questione delle facce.

 

Marine è tutta carne. Quando canta la Marsigliese è credibile. E’ credibile quando intona la romanza della patria contro il mondo dei banchieri, dell’euro, dell’immigrato che si droga, si alcolizza e spara (Orly), del jihadista islamico. Lei e il tricolore bleu blanc rouge si rassomigliano, purtroppo. C’è un pregiudizio contro il Front national, ma quanto stabile, quanto rigoroso, quanto affidabile? I terroristi islamici, che naturalmente vogliono Marine al potere, quanto aspetteranno prima di alzare il tiro, ché il caso di Orly è poca cosa? Emmanuel ha “une tête de première communion”, secondo lo sferzante Mélenchon. Aria da bravo ragazzo. Non proprio il massimo in caso si scateni un’ondata ulteriore di paura, paura ravvicinata. E’ uno che sa il compito e forse non fa copiare. Si è permesso il lusso di improvvisarsi oratore politico pur con la sua voce un po’ chioccia, ha incantato un quarto dell’elettorato, il che gli basterebbe per sfidare la Le Pen e, dicono, per vincere coalizzando tutti gli altri. Ma c’è da tremare, al giorno d’oggi lo scontro tra un banchiere Rothschild e una patriota della Francia di sotto, d’en bas, è imprevedibile nonostante tutte le rassicurazioni in contrario, e il passaggio televisivo, con i suoi risultati di gradimento, sarà tremendamente importante, ma vedremo domani, per capire di che morte moriamo.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.