Donald Trump (foto LaPresse)

Controspionaggio elettorale

L'Fbi smentisce Trump: l'inchiesta sulla Russia c'è, e non è fuffa politica

Comey non si sbilancia sugli esiti, ma ammettere l’indagine basta a far crollare la versione del presidente. I tweet smentiti in diretta

New York. La conferma, sotto giuramento e in una deposizione pubblica, che è in corso un’inchiesta dell’Fbi sull’influenza del governo russo sulle elezioni americane, con particolare attenzione a un eventuale coordinamento fra l’entourage di Donald Trump e il Cremlino, ha rimosso il caso dalla galassia delle ipotesi, dei leak, delle inchieste giornalistiche e delle fonti anonime, per portarla in quella dei fatti conclamati. James Comey, il direttore dell’Fbi, e Mike S. Rogers, direttore della National Security Agency, non hanno detto ieri alla commissione Intelligence della Camera che la Russia ha deciso l’esito elettorale o che gli sgherri di Trump nell’orbita russa lavoravano di concerto con Mosca, ma hanno detto che gli agenti federali avevano ragioni sufficienti per avviare un’indagine, il che basta per smentire la posizione di Trump. Il presidente ha ripetutamente negato l’esistenza di elementi in questo senso, declassando l’intero affare a una cospirazione dei democratici per screditarlo, realizzata tramite gli alleati nella comunità d’intelligence e nei media. Anche ieri prima della deposizione ha twittato: “I democratici hanno inventato la storia della Russia come scusa per avere condotto una campagna terribile. Avevano un grande vantaggio nel collegio elettorale e hanno perso!”. La smentita è arrivata dal più improbabile dei testimoni, quel Comey che nei giorni più caldi della campagna elettorale aveva deciso di rivelare l’esistenza di un’indagine su Hillary Clinton e la sua gestione “estremamente sbadata” delle email. L’entourage della democratica è convinto che l’irrituale manovra di Comey abbia abbattuto una candidatura altrimenti destinata alla vittoria.

 

Comey, che senza citare il caso Clinton ha invitato l’uditorio a evitare le “analogie con altri casi”, ha detto:  “Sono stato autorizzato dal dipartimento di Giustizia a confermare che l’Fbi, nell’ambito della nostra missione di controspionaggio, sta indagando sui tentativi del governo russo di interferire nelle elezioni presidenziali del 2016, e questo include l’indagine sulla natura dei collegamenti fra persone associate alla campagna elettorale di Trump e il governo russo. E se c’è stata qualche forma di coordinamento fra la campagna e le azioni della Russia”. Con l’inchiesta ancora in corso, Comey e Rogers non hanno potuto discutere dei dettagli classificati, e la lunga interrogazione con la commissione è stata inevitabilmente intrisa di “non posso commentare” e “non voglio rispondere”. Quello che il direttore dell’Fbi ha potuto dire è che nelle loro attività per influenzare le elezioni, i russi sono stati “insolitamente rumorosi”, quasi che “non importasse loro se lo venivamo a sapere”, anche se hanno negato che gli hacker del Cremlino siano riusciti a manomettere le infrastrutture per le procedure elettorali, alterando direttamente il voto. Hanno lasciato così intendere che nel decennale pattern spionistico che ha portato funzionari, agenti formali e informali, hacker e altri affiliati russi a tentare di influenzare la politica di Washington, questo caso ha proporzioni e caratteristiche uniche. Alcuni repubblicani hanno tentato una difesa indiretta del presidente, tentando di far dire agli interlocutori che i russi usano i loro apparati d’influenza a prescindere dal partito del presidente in carica e dal colore politico dei candidati, dunque siamo di fronte a un caso di “business as usual”. La missione di protezione politica è fallita miseramente. Ad aggravare la posizione di Trump sono arrivati anche un paio di tweet, cinguettati con l’account ufficiale della presidenza, mentre la sessione era ancora in corso e smentiti in diretta. Trump ha postato alcuni frammenti della deposizione, accompagnati da didascalie: “Il direttore dell’Fbi Comey rifiuta di negare che ha fatto un briefing a Obama sulle chiamate fatte da Michael Flynn alla Russia”. Il secondo tweet dice: “La Nsa e l’Fbi dicono al Congresso che la Russia non ha influenzato il processo elettorale”. Presi al di fuori del contesto, sono frammenti che rovesciano la sostanza del messaggio di Comey, servitore dello stato che ieri ha detto molte cose, e ha pure saettato contro i leaker di ogni risma e motivazione, ma soprattutto ha smentito ufficialmente che lo scandalo russo sia una macchinazione politica ai danni di Trump.

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