Donald Trump (foto LaPresse)

Così i redditi di Trump possono diventare un'arma di distrazione di massa

L'emittente Msnbc (e la Casa Bianca) pubblicano la dichiarazione del presidente del 2005. Nei documenti nessuna illegalità, ma l'effetto potrebbe essere quello di distrarre le persone da questioni più urgenti

Donald Trump non ha voluto lasciare a Rachel Maddow nemmeno la soddisfazione di portare a casa lo scoop. La giornalista ultraliberal di Msnbc ha annunciato su Twitter di avere recuperato una parte della dichiarazione dei redditi del presidente del 2005, ovvero un frammento del Sacro Graal dei giornalisti “follow the money”, ma la puntata del suo “The Rachel Maddow Show” è iniziata con un lunghissimo preambolo a suo dire necessario per mettere l’esplosiva rivelazione nel contesto, e prima che l’ospite della serata, David Cay Johnston, rivelasse le due pagine del documento che gli è misteriosamente piombato fra le mani (c’è chi dice sia Trump stesso la fonte), la Casa Bianca aveva già pubblicato lo stesso materiale. Materiale che mostra, in buona sostanza, che nel 2005 Trump ha guadagnato 150 milioni di dollari e ha versato 38 milioni in tasse federali, un’aliquota pari al 25 per cento.

 

È una percentuale più bassa rispetto a quella che paga la maggior parte della middle class, ma è superiore a quella che paga la stessa emittente che ha sbandierato la notizia, a quella che è stata applicata a Barack Obama in certi anni e perfino a quella che Bernie Sanders, castigatore supremo delle disuguaglianze, ha pagato nel 2014. Il senatore si era fermato al 13 per cento. In un comunicato della Casa Bianca si legge: “Prima di essere eletto presidente, Trump era uno dei businessman più di successo nel mondo, e aveva la responsabilità verso la sua azienda, la sua famiglia e i suoi dipendenti di non pagare più tasse di quanto legalmente richiesto”.

 

L’intervento si conclude con un immancabile riferimento agli ascolti della rete avversaria: “Si capisce che uno è disperato per gli ascolti quando arriva a violare la legge per due pagine di una dichiarazione dei redditi di oltre dieci anni fa”. La spettacolare assenza di una pistola fumante sul misterioso caso della condotta fiscale di Trump non rende meno pertinente o addirittura necessaria una ricognizione più approfondita. Rifiutandosi di pubblicare le dichiarazioni dei redditi ha rotto con un’affermata consuetudine della trasparenza per i candidati alla presidenza e ha continuato ad alimentare sospetti su ciò che veramente Trump potrebbe avere da nascondere in quei documenti. Qualunque cosa sia, non sono le due paginette pubblicate ieri. Quelle dimostrano che Trump ha fatto un buon lavoro di pianificazione fiscale, ma che altri hanno fatto molto meglio di lui, e il pur legittimo sdegno verso tale pratica non segnala atti criminali né immoralità tali da scalfire un presidente in carica. L’effetto che lo “scoop” di Maddow rischia di ottenere è, piuttosto, quello di distrarre il pubblico da questioni più urgenti e gravide di conseguenze, come la guerra interna al partito repubblicano sulla riforma sanitaria o l’imminente pronunciamento del direttore dell’Fbi, James Comey, sull’esistenza di un’inchiesta sui legami fra l’entourage di Trump e il Cremlino. E dire che la distrazione è una specialità del presidente.

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