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L'esodo dal Sinai dei copti egiziani braccati dalle milizie jihadiste

Matteo Matzuzzi

Sono centinaia i copti egiziani che in queste ultime settimane stanno abbandonando la penisola del Sinai. La caccia ai cristiani e la guerra non solo ideologica

Roma. Sono centinaia i copti egiziani che in queste ultime settimane stanno abbandonando la penisola del Sinai dopo la serie di attentati che ha causato nel solo mese di febbraio sette vittime tra gli appartenenti alla minoranza cristiana nella città di El Arish. La chiesa copta ha condannato gli omicidi, accusando le formazioni islamiste di voler “dividere gli egiziani”. La meta dell’esodo che ha coinvolto al momento centodiciotto famiglie (ogni famiglia conta in media cinque persone) è soprattutto Ismailia, grosso centro situato a un centinaio di chilometri a est del Cairo. “Il governo ci ha dato una mano per trovare un alloggio ad alcuni nuclei famigliari, per gli altri abbiamo affittato degli appartamenti”, ha detto padre Kyrillos Ibrahim, che sul futuro prossimo non si sbilancia: “E’ difficile dire se arriveranno altre famiglie, dipende da quanto male vanno le cose laggiù. Speriamo sia una situazione temporanea”. Altri si sono spostati a Qaliubiya e Assiout. Un effetto sui trasferimenti di massa l’ha avuto un lungo video pubblicato una decina di giorni fa recante la firma dello Stato islamico egiziano: Misr. Elemento rilevante, questo, poiché significa che gli islamisti considerano tutto quanto l’Egitto terreno sottoposto alla loro autorità, uscendo dai confini tradizionali del Sinai. Il bersaglio grosso delineato nel video sono proprio i cristiani copti – le prime immagini vedono in primo piano il Papa copto Tawadros II e Francesco, ritratti insieme durante la visita che Tawadros fece in Vaticano nel maggio del 2014 – che secondo i fondamentalisti hanno perso lo status di dhimmi, cioè di protetti, dal momento che si sono alleati con il tiranno a capo del paese, cioè di Abdel Fattah al Sisi. Sono divenuti bersaglio, e quindi colpibili. Le esecuzioni a El Arish mettono in pratica tale teoria.

 

Un messaggio che punta al rafforzamento della battaglia sul piano ideologico, ora che le cose nella penisola affacciata sul Mar Rosso non vanno come sperato dalle formazioni islamiste. Nel video, che dura venti minuti, sono riportate anche le parole dell’attentatore suicida che lo scorso 11 dicembre si fece saltare in aria nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo, causando la morte di ventinove fedeli copti – in maggioranza donne e bambini – che quella domenica affollavano l’edificio di culto. E’ la dimostrazione che dietro queste azioni c’è un’accurata regia e nulla è estemporaneo.

 

Le parole dell’attentatore, registrate prima della strage, sono state diffuse solo ora, più di tre mesi dopo. Nel momento in cui c’era la necessità di rinfocolare la propaganda ideologica e portare acqua al mulino della causa jihadista. Un messaggio che, almeno in parte, pare essere stato recepito: due giorni dopo la diffusione del video, due copti sono stati assassinati in un sobborgo di El Arish. La sicurezza egiziana ha identificato i due uomini come Saad Hana (65 anni) e suo figlio Medhat (45). Quest’ultimo, dopo essere stato rapito, sarebbe stato bruciato vivo.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.