Il Parlamento europeo a Bruxelles (foto: Francesca Cappa, via Flikr)

Altro che euroscettici, ecco la generazione degli "euro-neutri"

Luca Gambardella

Una ricerca Deloitte-SWG dice che i cittadini europei semplicemente sono disinteressati a cosa succede a Bruxelles. E anche ricordare la prosperità dell'Ue dopo le due Guerre mondiali non riesce più a scaldare i cuori

Roma. Un nuovo sondaggio condotto su scala europea per valutare il livello di affezione dei cittadini all'Ue rileva un sentimento crescente di indifferenza nei confronti delle politiche e delle istituzioni di Bruxelles. La ricerca demoscopica presentata stamattina alla Camera dei deputati da Deloitte (una delle più importanti società di consulenza europee), in collaborazione con SWG, spiega che il confronto più noto fra europeisti ed euroscettici è ormai in via di superamento a vantaggio dei cosiddetti "Euro neutri", ovvero coloro che "non assumono una posizione definita o non sono interessati all'Ue". Lo Strategy Leader di Deloitte, Andrea Poggi, chiarisce che questa nuova categoria non è da confondere con quella degli "indecisi": "Uno degli scopi della nostra indagine era quello di decifrare come l'Ue sia percepita dalle imprese, ma anche dalle famiglie", spiega Poggi. Il risultato è che il grande "sentimento di sfiducia e pessimismo, riscontrati in Italia ma anche negli altri paesi europei, sono sfociati in un sostanziale disinteresse per l'Ue". Nel nostro paese il 37 per cento degli intervistati rientra in questa categoria, mentre gli "euro fan" e gli "anti-euro" ammontano rispettivamente al 14 e al 13 per cento.

 


 

Fonte: Deloitte-SWG


 

"Ancora peggio, moltissimi italiani non parlano dell'Europa e delle tematiche connesse alle politiche europee", spiega Poggi. Il 42 per cento non affronta questioni legate all'Ue nemmeno una volta alla settimana (in Europa il dato è del 36 per cento). Un'indifferenza che si sposa con la sostanziale ignoranza dei cittadini sulle attività e sulle discussioni dei palazzi di Bruxelles. Il 45 per cento degli italiani (il 40 il Europa) non è in grado di valutare l'operato dell'Ue perché "il tema è considerato troppo delicato e le informazioni sono difficilmente reperibili". Lo stesso vale per le nozioni storiche dell'Ue (il 65 per cento non sa cosa sia il Trattato di Maastricht).

 


Fonte: Deloitte-SWG


  

La fotografia del panorama europeo non potrebbe essere più distante da  quello che il ministro degli Esteri Angelino Alfano, intervenuto all'evento, ha definito "la necessità di un asse memoria-futuro" per ricordare il superamento di un perenne stato di guerra in cui versavano gli stati europei prima della Ceca e dell'Euratom. "Quale è il valore economico della pace? Quale è il peso economico della guerra?", si è chiesto Alfano per sottolineare il bisogno di più Europa. Ma gli altri dati raccolti da Deloitte fanno emergere che per i cittadini europei gli anni di prosperità dopo le due Guerre mondiali oggi non sono altro che un ricordo lontano dalla realtà.

 


 

Fonte: Deloitte-SWG


 

Il giudizio espresso sulla situazione attuale dei 28 stati membri è di una netta sfiducia che coinvolge il 40 per cento degli intervistati in Italia e il 48 per cento degli europei. Il 71 per cento ritiene che Bruxelles non abbia portato alcun vantaggio concreto in difesa della crisi economica mentre il 65 per cento non crede che ci possa essere un futuro positivo per l'Unione europea. Un dato estremamente negativo che Deloitte fa derivare da quattro motivi principali: "L'inadeguatezza delle politiche europee, la scarsa conoscenza delle tematiche comunitarie, la percezione crescente di un trattamento non uniforme della nazioni e differenze strutturali tra stati membri con un forte impatto sullo sviluppo di un'identità europea".

 


 

Fonte: Deloitte-SWG


 

"Tuttavia – continua Andrea Poggi – il 57 per cento degli Italiani (contro il 53 per cento dei cittadini europei) ritiene che l’Ue sia un veicolo fondamentale per aiutare i singoli paesi a emergere nel difficile contesto internazionale, purché, come richiedono il 79 per cento degli europei e l’85 per cento delle famiglie italiane, si 'cambi passo' e ci si concentri su temi chiave: gestione dell'immigrazione, sviluppo dell'occupazione, difesa dal terrorismo”. Temi di grande portata che non potranno essere risolti con un ritorno al sovranismo e al protezionismo, spiega il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, intervenuto alla presentazione dello studio. "L'Ue non è il diavolo ma la nostra stessa civiltà", ha detto il nuovo presidente dell'Europarlamento. "Il protezionismo non ci porta da nessuna parte", ha detto. "L'acciaio italiano può competere oggi con quello cinese? No, solo nello spazio Ue può farlo, solo così possiamo difenderci". Quando i populisti oggi parlano di "un rischio di 'cinizzazione' o 'arabizzazione' dei nostri paesi", ha continuato Tajani, "dovrebbero pensare che questo rischio aumenta ancora di più se si esce dall'Ue". La competizione sui mercati, ha sottolineato il presidente, è tutelata solo se i singoli paesi riuniti sotto l'ombrello europeo riescono a difendere il proprio know how. "Il sistema Italia", ha continuato Tajani, "non è sufficientemente forte per poter competere da solo" ed è per questo che crisi come quella della Brexit "possono diventare un'opportunità per paesi come l'Italia e la Spagna".

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.