Donald Trump (foto LaPresse)

Alla Casa Bianca un narcisista patologico che rompe gli specchi

Giuliano Ferrara

L'isteria contro la stampa "nemica del popolo", ovvero il volto illiberale e autolesionista di Donald Trump

Il bando ai giornali non compiacenti esclusi da un briefing dalla Casa Bianca, e l’isteria contro la stampa “nemica del popolo”, è ovviamente una violazione della costituzione americana nel suo fondamento, un atto in sé radicalmente illiberale, e una scemenza autolesionista. Uno si domanda perché lo ha fatto, perché ha detto quelle cose enormi. Va bene, sappiamo che una parte ultramaggioritaria della sua base elettorale ha bisogno del nemico simbolico, e che la stampa e la televisione non allineate si prestano allo scopo. E’ sempre successo ogni volta che una tendenza autoritaria si è affacciata sulla scena. Un certo tipo di potere ha bisogno di conferme e di consenso, di adulazione e culto, non di critica e analisi dei suoi comportamenti. Vero, banale e preoccupante.

 

Esempio semplice semplice. Gli uomini del presidente hanno esercitato pressioni sull’Fbi allo scopo di impedire che siano rese pubbliche, attraverso il racconto della stampa desunto da fonti anonime ma fattualmente esaminate nel riscontro della notizia, le trame della Casa Bianca di Trump per impedire che il cittadino americano e l’opinione pubblica interna e internazionale siano messi al corrente del doppio gioco illegale con gli uomini di Putin da parte dello staff del presidente. Trump non smentisce il doppio gioco, con i suoi tuìt arriva fin quasi a confermarlo implicitamente, e preferisce, perché è un modo di coprire la verità, il modo più facile, prendersela con i leaks e le fonti anonime in combutta con “the enemy of the people”. Io posso fare cose illegali ma farlo sapere è un “disservizio” al popolo, è un mettere a nudo azione e logica di chi comanda in nome del popolo, indebolendone la presa: dunque, un atto antinazionale. I fascismi europei e lo stalinismo a queste cose avevano abituato un secolo intero, con le conseguenze che sappiamo.

 

Ma l’impostore di Pennsylvania Avenue si muove in una logica molto più sofisticata, sebbene poi approdi alle solite sponde. La sua non è una mera difesa dei segreti del potere, i famosi arcana della tradizione politica classica. Uno che discute con il premier giapponese del missile nordcoreano nel corso di un party mondano a bordo piscina aperto al viavai degli ospiti e imbucati non è uomo del segreto, degli arcana. E’ propriamente un delirante esempio di virtualità al potere, è quel ceffo da reality tv che è passato da The Apprentice al controllo della cabina di comando nucleare del mondo in forza dei leaks dell’Fbi sulla sua avversaria e delle fonti anonime, a libro paga di Putin, che l’hanno variamente sputtanata nel finale della disastrosa campagna del novembre 2016. Ora non può consentire che leaks e fake news gli si ritorcano contro, riportandolo dalla virtualità delle chiacchiere demagogiche sull’America che torna grande alla realtà incasinata del suo comportamento da piccolo Nixon, e bandisce la stampa e la tv dal briefing a scopo di intimidazione, sebbene qui non si tratti di fakes ma della protocollare e costituzionale funzione di scrutinio, di inchiesta e di ispezione del potere pro tempore da parte della stampa libera (che avrà pure i suoi pregiudizi e le sue partigianerie, ma secondo la più straordinaria battuta del liberalismo americano “è la stampa, bellezza, e non puoi farci niente”).

 

Trump è un narcisista patologico che non può tollerare lo specchio. La sua immagine riflessa terrorizza prima di tutto lui stesso. Reagan e Berlusconi non hanno mai fatto cose simili, ne hanno fatte altre, pop, rutilanti, anomale, ma non queste, perché furono narcisisti bonari e autoironici, demagoghi consapevoli di esserlo, dunque finti demagoghi, in realtà uomini pubblici dotati di ragione e di astuzia. Trump non sa di essere uno che alimenta sogni e deliri di massa impossibili, morbosi, uno che ha cominciato la sua carriera abbracciando la campagna contro il presidente nero che non sarebbe stato un cittadino americano nato sul suolo americano, contro ogni evidenza in contrario. E’ infantile, il suo narcisismo iperbolico lo sente sulla sua pelle, e per far credere che il suo libro sull’arte del deal è secondo per importanza solo alla Bibbia (la citazione è letterale), dunque per nascondere la sua patologia incurabile, deve rompere lo specchio con brutalità e insolenza. Per sperare non resta che uno dei maestri dell’aforisma settecentesco, Vauvenargues: “Non abbiamo né la forza né le occasioni per fare tutto il bene e tutto il male che proiettiamo fuori di noi”. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.