Angela Merkel (foto LaPresse)

La nostra Angela custode

Giuliano Ferrara

Media quando deve mediare, decide quando deve decidere. Merkel è la vera cattedra dell’occidente e con Draghi lotta bene contro l’impostore. Sarebbe ora di riconoscerlo, o no?

Mentre il Potus (President Of The United States) si occupa di tuittare il suo risentimento per come una catena commerciale tratta le mutandine prodotte dalla linea di moda di sua figlia Ivanka, e Putin se la spassa spiando la vita privata dei candidati alle presidenziali francesi e cercando di mandare in galera un dissenziente di minoranza estrema, Angela Merkel si occupa del suo paese, delle sue esportazioni esuberanti, della riduzione del suo debito, delle istituzioni europee e del mondo. Attraverso i tailleur quadrati e i colori pastello della vasta e pacata cancelliera, la Germania va in cattedra. Vogliamo riconoscerlo? Sarebbe ora.

 

L’abbiamo accusata di tutto, egoismo nazionale, senso di colpa aggressivo, rigore punitivo sul debito inteso come colpa, e molto altro. Certo, la figlia del pastore luterano venuta dall’est  non poteva pretendere di assurgere a star mediatica di una politica lustrini  e paillettes. È lì da dieci anni con un governo di unità nazionale, sta sul quaranta per cento dei voti, ottimo risultato ma non un plebiscito. Ha aggiogato al carro la più robusta e antica socialdemocrazia della terra, che nel frattempo si è un po’ svuotata ma adesso ha trovato in Martin Schulz, il Kapo delle immaginarie sceneggiature berlusconiane, un competitore più che decente, più o meno sulla stessa linea della Mutti, e con una storia personale di dolore e politica avvincente addirittura. Angela parla un linguaggio accorto, monocorde nel tono e lineare nell’espressione, una lingua in legno di noce ben rifinito, forse mogano. Ha un rapporto persuasivo mai ossessivo, mai narcisista, mai ricattatorio, con un’opinione pubblica strutturata e fino a ora responsabile. Ha osato accogliere un milione di profughi senza tante storie, fronteggiando atavismi, identitarismi e paure più o meno orchestrate con equilibrio, correggendo qua e là la rotta dove necessario, spiegando e rispiegando. Si è avvalsa con criterio e una dissimulata spavalderia delle grandi riforme della Neue Mitte, la Spd centrista e di governo di Gerhard Schröder, e ha stabilito un asse non conformista e non esclusivo con formidabili garanti dell’euro come Wolfgang Schäuble e Mario Draghi, con tutte le evidenti e notevoli differenze.

 

Le si rimprovera di negare la biada della domanda a paesi oppressi, non certo e non solo per sua colpa, dalla stagnazione di crescita e produttività, e si capisce che una Berlino vogliosa di guidare le differenze, in Europa, dovrebbe fare qualcosa di più. Ma non incrementare le tendenze al debito via gestione non riformista del deficit, non rinunciare all’emulazione di mercato, si spera. Quando i cari cugini greci hanno preteso di truccare i conti all’infinito, a parte la necessità prima o poi di cominciare a risolvere la questione di un debito alla lunga impossibile da risarcire, si è comportata da Schwester severa ma giusta e li ha convinti, i syrizisti del referendum pro domo loro guidati dal prestante bullo Varoufakis, a mettersi un po’ in ordine. Media quando deve mediare, decide quando deve decidere: mediazione e decisione non sono mai sopra le righe e non restano mai tra le righe, appartengono a una specie di oraziana aurea mediocritas, aura mediocrità, che non vuol dire conformismo e rinuncia ma riluttanza verso l’eccesso del Sé, rifiuto della compromissione con titanismi tragicomici che affliggono nuovi zar, novissimi presidenti, classi dirigenti prive di ogni coraggio tranne quello dell’impudenza e candidati che sentono le voci del nazional-populismo a venatura anticapitalistica e antiliberale.

 

Come ha notato Simon Kuper, uscendo per una volta dal suo ruolo di rifinitore del politicamente corretto per il Financial Times, ci sono molti elementi e molte storie nella parabola della Germania occidentale, poi Mitteldeutschland riunificata dal padrino di Angela, Helmut Kohl, che parlano di una vera e profonda capacità di dare valore a quel che vale: la norma della normalità, una ferrigna ma educata tendenza a scrollarsi di dosso il peso del passato peggiore del Reich in una prospettiva istituzionale tranquillamente liberale e ordinata, esigente con sé stessa e con gli altri. Angela non direbbe mai, come certi giganti della politica micromachiavellica della commedia all’italiana, che “siamo seduti su una polveriera”. Non gioca con la moneta, con il risparmio, con gli investimenti, la concorrenza e il liberoscambismo. Il rimbombante non le appartiene. Preferisce il significativo. Certo, il suo paese incassa anche i vantaggi che l’euro dei Trattati offre a chi ha conti in ordine e produttività molto alta ed export esorbitante, ma alla fine, sindrome di Weimar o no, è capace di accettare il Quantitative Easing di Mario Draghi, badando che il sostegno alle economie indebitate e in bilico non ricada proprio tutto sulle spalle del contribuente tedesco. Lo fa perché è assennata e perché le conviene. Si può chiederle di correggersi su tante questioni, ma non si può darle torto con voce strozzata. Si rimedia una classica figura di merda: la figura dei portoghesi, non in senso etnico-nazionale, in senso figurato (quelli che non pagano mai il biglietto e vogliono godersela senza sforzo).

 

La Merkel ora gioca in solitario, ma è accompagnata da ottanta milioni di tedeschi e un bel pezzo d’Europa, un mercato anche in senso politico che alla fine può decidere di mettersi su un registro più avanzato di quello scelto dai protettori di economie fragili e di mercati del lavoro ridicoli. Se l’impostore riuscisse a imporle il bilateralismo come lo concepisce lui, cioè una improvvisazione a vanvera e una cosa tutta da vedere vista l’effettiva situazione del potere in America, paese ingenuamente sprofondato nelle acque basse della demagogia ma anche sistema di potere e di diritto indisponibile a passare la linea con spirito d’avventura; se questo accadesse, prima di vedere l’Europa in pezzi e i partner deboli abbandonati a una prospettiva argentina di svalutazione e inflazione, bè, un tipo come Angela saprebbe manovrare e condizionare con aurea intelligenza i volenterosi a una via d’uscita. E’ per questo che la si vede bene, senza toni professorali indisponenti e senza superbia, installata in cattedra. Se Parigi fosse occupata dalle truppe di Vichy, mentre l’Inghilterra fa la bella vittoriana in alto mare, la faccenda diventerebbe molto imbarazzante. Ma non per lei, che se la cava intanto con la Cina ed è come si dice incontournable, quanto per i vicini che diventerebbero i vicini poveri della porta accanto. Praticamente, noi.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.