Un giovane della destra israeliana viene condotto in carcere dopo una manifestazione per le colonie (foto LaPresse)

Il dilemma d'Israele: insediarsi o ritirarsi dalle terre del 1967?

Giulio Meotti

Un capo dei coloni e uno della sinistra bohème a confronto

Roma. “La domanda è una sola: la Giudea e la Samaria sono la nostra Alsazia e Lorena o sono territori occupati?”. Si capisce perché Mordecai Richler uscì frastornato dall’incontro con Elyakim Haetzni, ritratto nel libro “Quest’anno a Gerusalemme” (Adelphi). Haetzni passa dalla musica di Schubert agli attentati dell’Intifada nella stessa frase. E’ nato con il nome di Georg Bombach a Kiel, in Germania, prima dell’avvento del nazismo, ferito nella guerra arabo-israeliana del 1948 e di casa a Hebron da mezzo secolo, dov’è l’intellettuale laico di riferimento dei coloni israeliani. Quando inizia a parlare non si ferma più. Lo abbiamo intervistato dopo che lunedì la Knesset, il Parlamento israeliano, ha legalizzato gli insediamenti ebraici su terre private palestinesi. In cambio, i palestinesi possono scegliere fra risarcimento e appezzamento alternativo. Per la prima volta, Israele legifera sulla presenza israeliana oltre la Linea verde, quei Territori che chiamano “Giudea e Samaria” e che il mondo considera “occupati”. Ne parliamo con due intellettuali opposti. Uno è Haetzni, editorialista di Yedioth Ahronoth, avvocato, ex deputato. L’altro è Yossi Klein Halevi, corrispondente di New Republic, ricercatore allo Shalom Hartman Institute di Gerusalemme e fra gli esponenti di punta di quella bohème intellettuale israelo-americana.

 

“La legge varata al Parlamento israeliano è un punto di non ritorno”, dice al Foglio Elyakim Haetzni, uno dei padri storici degli insediamenti israeliani. “Dopo la guerra del 1967, Meir Shamgar, futuro capo della Corte suprema, tenne una conferenza sull’applicazione delle convenzioni internazionali in Giudea e Samaria: ‘Il territorio conquistato non sempre diventa occupato. La Francia avrebbe dovuto agire in Alsazia-Lorena in conformità con le regole della Convenzione dell’Aia. Come è noto, la Francia ha trattato l’Alsazia-Lorena come territorio ‘liberato’”. Continua Haetzni: “Gli inglesi ebbero il Mandato britannico non per farci una colonia, ma al fine di preservarla per il popolo ebraico. Oggi Israele sta ripristinando quei diritti storici. Queste terre furono prese con la forza dagli arabi nel 1948, Israele li ha ripresi in un’altra guerra nel 1967 e oggi ci siamo noi ad amministrarli. Per mezzo secolo, Israele non ha saputo cosa fare di queste terre. Da qui la contraddizione. Oggi ci sono quasi mezzo milione di ebrei nei territori. Indietro non si torna”.

 

Israele si ritirerà mai dai territori? “Neville Chamberlain era il ritratto della naïveté, ci ha dato Monaco ’38, ma non ha commesso due volte lo stesso errore e ha dichiarato guerra alla Germania. Pensava di placare Hitler dandogli la Cecoslovacchia. Così abbiamo fatto noi portando via i coloni di Gaza. Noi non faremo la fine della Cecoslovacchia”. Due giorni fa, Yossi Klein Halevi ha scritto sul Wall Street Journal un lungo articolo sul dilemma israeliano. “Io vivo qui da 35 anni e come ebreo mi sento più a casa a Hebron che a Tel Aviv”, dice Halevi al Foglio. “Ma in Giudea e Samaria c’è un altro popolo, i palestinesi, che considera anche Israele come parte della Palestina. Possiamo continuare a combattere, oppure possiamo accettare un livello di ‘ingiustizia’. La soluzione due stati due popoli è quella ingiustizia minima. Dubito che sarà uno stato palestinese in pace con noi, ho dubbi sulla sicurezza, perché se ci ritiriamo ancora ci sarà un’altra Gush Katif (le colonie di Gaza evacuate e sostituite dai missili di Hamas, ndr). Ma se rimaniamo? Un giorno dovremo scegliere fra stato democratico ed ebraico e io non voglio scegliere. Capisco i coloni, li sento vicini, ma non sanno rispondermi a una domanda: cosa facciamo se rimaniamo? Israele diventerebbe come la Yugoslavia, la Siria, il Libano, l’Iraq. Non esiste un esempio di stato multietnico che funzioni. Non mi fido dei palestinesi, ma come posso vivere in uno stato in guerra con se stesso?”.

 

Se c’è una cosa su cui il colono e la colomba concordano è l’avversione per l’Europa. “Non mi faccio illusioni”, conclude Haetzni al Foglio. “Hitler ha avuto successo grazie all’antisemitismo, fu questo a spingere i popoli europei, anche voi italiani, a collaborare. Perché oggi l’Europa ama tanto i palestinesi fra tante ingiustizie nel mondo? Perché hanno occhi bellissimi? No, perché Israele è il loro ‘aggressore’. Anche i palestinesi vivono per il conflitto. Se finisse, diventerebbero irrilevanti come il Bangladesh. Prendi l’Inghilterra: ha combattuto Hitler, ma qui sobillava gli arabi ad attaccare gli ebrei. Basta leggere il monologo di Shylock in Shakespeare per capire questa ossessione”. All’Europa, anche Halevi riserva parole di fuoco: “Il medio oriente non è un posto per i pacifisti. Qui la signora Mogherini non sopravviverebbe cinque minuti. La mia scelta non è fra terra e pace, ma fra una vulnerabilità e un’altra vulnerabilità. L’Europa tenga per sé le lezioni sulla pace”. 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.