Donald Trump (foto LaPresse)

Il Messico cancella la visita, il dipartimento di stato si sgretola

L’arrivo alla Casa Bianca non ha cambiato l’atteggiamento di Trump, che grida ai brogli e agita fantasmi. La prima intervista

New York. La fatidica virata presidenziale doveva avvenire nel discorso dell’insediamento, dove il protocollo liturgico impone di anteporre l’unione alle fazioni, e invece Donald Trump ha fatto un agguerrito proclama “America First” ritagliato sulla sensibilità dei militanti più duri. La svolta retorica era evidentemente rimandata. I primi, febbrili giorni alla guida della Casa Bianca sono passati approvando ordini esecutivi su alcune promesse elettorali fondamentali (muro, Obamacare, immigrazione, commercio, energia) ed è normale che i primi decreti formati siano quelli simbolicamente più densi e più difficili da realizzare. Tutt’intorno continuava il solito rumore di fondo fatto di tweet in maiuscolo, fatti alternativi, gare per vedere chi ha la folla più grande all’Inauguration Day. Una volta installato alla Casa Bianca le cose cambieranno, si pensava, e la prima intervista da presidente regnante, concessa alla Abc, s’annunciava come l’occasione perfetta per affettare un tono se non da discorso al caminetto di Roosevelt, almeno da leader che articola una qualche visione sull’America che verrà.

 

L’intervista con David Muir, andata in onda integralmente mercoledì sera, ha rappresentato invece una regressione politica ed estetica, con un Trump litigioso e impaziente che è ritornato non già al periodo più virulento della campagna elettorale ma ha pescato direttamente nel suo bagaglio da protagonista di reality show. La disputa sui presunti brogli elettorali si è riaccesa davanti all’incredulo intervistatore. Con adolescente ostinazione, Trump ha continuato a dire che milioni di voti sono irregolari, molti nomi di deceduti sono ancora nelle liste elettorali e qualcuno vota per loro, e ci sono elettori registrati in due, a volte perfino in tre stati contemporaneamente. Il presidente è certo che “ogni singolo voto” fra quelli non validi è finito nella colonna di Hillary Clinton. Anche Fox News, che ora va di nuovo a braccetto con la Casa Bianca, ha abbandonato Trump su questa disputa, dove tutti gli studi e i sondaggi sono concordi nel ritenere che non ci siano state irregolarità. Rimane l’appiglio di un vecchio studio dell’istituto Pew, il cui autore ha però smentito di aver mai parlato di brogli e irregolarità strutturali. La risposta di Trump: “Groveling”, quell’autore è un servo, un cameriere dell’opinione dominante, come del resto tutti i giornalisti. “There is nothing fair about the media”, ha detto ieri al raduno del Partito repubblicano a Philadelphia. Tutto questo soltanto per dimostrare che avrebbe potuto vincere anche il voto popolare. E’ profondamente scocciato dalla cosa, e non soltanto lo lascia intravedere, ma lo grida, ne fa il perno della sua comunicazione presidenziale.

L’intervista con Muir è stata un lungo déjà vu iniziato con l’attacco ai media e finito con l’esibizione di una foto panoramica del giorno dell’insediamento, prova definitiva dell’evento inaugurale “con la più grande audience di sempre”. In mezzo c’è stato un po’ di tutto. In Iraq, ha detto Trump, “avremmo dovuto prendere il petrolio, se lo avessimo fatto non avremmo Isis”, e quindi suggerisce di andare a riprenderselo; la situazione a Chicago è peggio di quella in Afghanistan, la tortura “penso che funzioni” ma seguirà quello che dicono il generale Mattis e il capo della Cia, Mike Pompeo, il muro sarà pagato completamente dal Messico, e il presidente Enrique Peña Nieto dice il contrario “perché lo deve dire”. Ieri Peña Nieto ha cancellato l’incontro previsto per la settimana prossima, ma Trump ha detto che è stata la Casa Bianca ha far saltare il tavolo. Nel frattempo i quattro più alti funzionari del dipartimento di stato, i pilastri della struttura diplomatica, si sono dimessi, aggiungendosi a una lunga lista di manager che hanno abbandonato Foggy Bottom. La  virata presidenziale è rimandata, ancora.

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