(Foto LaPresse)

The Donald e al Baghdadi

Daniele Raineri

Trump vuole un’accelerazione della guerra allo Stato islamico e pensa a migliaia di boots on the ground

Roma. Il presidente Trump ha promesso un’accelerazione della campagna militare per battere lo Stato islamico ma è da vedere se quella campagna può davvero accelerare – o se non è già alla velocità massima – e se ci sono davvero opzioni ancora inesplorate da provare. A settembre, durante una tappa della campagna elettorale in North Carolina, Trump disse che quando fosse arrivato il suo primo giorno alla Casa Bianca avrebbe convocato i generali e avrebbe chiesto loro di tornare dopo trenta giorni nello Studio ovale con un piano pronto per battere lo Stato islamico. Nei mesi precedenti era stato più spavaldo. In aprile aveva detto della sua strategia contro l’Isis: “Ho un grande piano. Funzionerà alla grande. Mi chiedono: cos’è? Be’, preferisco non dirlo. Preferisco essere imprevedibile”. A giugno sulla rete tv Fox aveva annunciato che “c’è un metodo per batterli in modo efficiente e veloce e per ottenere la vittoria totale”.

 

Il numero di decisioni possibili a disposizione di Trump in questo settore è però ristretto, come dimostra anche il fatto che – pur non fidandosi dell’apparato militare e di intelligence – ha lasciato al suo posto Brett McGurk, l’uomo nominato dal suo predecessore, Barack Obama, per coordinare la guerra contro l’Isis. Secondo la Cnn, Trump potrebbe ordinare l’invio di alcune migliaia di soldati nel nord della Siria, nei territori controllati dalle Forze democratiche siriane – che sono una forza mista formata da una maggioranza di combattenti curdi e da una minoranza di arabi (circa un quarto). Le Forze democratiche in questo momento sono a 28 chilometri da Raqqa, capitale di fatto dello Stato islamico, e con loro sono embedded decine di Forze speciali americane. Il piano è arrivare a stringere d’assedio la città e poi entrare – come l’esercito iracheno sta facendo con l’aiuto delle forze speciali americane e francesi a Mosul, in Iraq. 

 

I soldati americani in più potrebbero fare da addestratori e reclutatori per aumentare il numero di arabi dentro le Forze democratiche siriane e farle sembrare meno curde e più miste: altrimenti gli abitanti arabi di Raqqa vedranno l’arrivo dei liberatori come un’invasione etnica. Ma in Siria è tutto più complicato. Se manda i soldati americani ad aiutare o anche soltanto se manda armi e munizioni alle Forze democratiche siriane, Trump rischia di scatenare la rabbia della Turchia, perché quei combattenti curdi attorno a Raqqa fanno parte delle Unità di difesa popolare (Ypg) – che sono legate al Pkk, il movimento curdo che è sulla lista dei gruppi terroristi in Turchia e anche in America. Inoltre, come nota il Washington Post, ogni invio massiccio di truppe americane in medio oriente rischia di “creare anticorpi” fra gli estremisti sunniti e sciiti, vale a dire che rischia di eccitare la propaganda jihadista. Al Qaida negli anni Novanta è nata anche come reazione fanatica alla presenza di truppe americane in Arabia Saudita durante la prima Guerra del Golfo nel 1991, lo Stato islamico e le milizie sciite hanno trovato un formidabile incubatore nella guerra contro l’intervento americano in Iraq cominciato nel marzo 2003.

 

Trump potrebbe ordinare bombardamenti più intensi, perché aveva detto che lui avrebbe “bombed the shit out of them”, che potremmo tradurre con un pudibondo “li raderei al suolo”. Tuttavia, già adesso i bombardieri americani in collaborazione con l’intelligence militare trovano soltanto un numero limitato di bersagli. Non manca la volontà di colpire, mancano gli obbiettivi da colpire in grande numero – e non sono frenati da questioni di politicamente corretto: secondo il sito Airwars, che monitora queste situazioni, dal 17 ottobre gli aerei americani hanno ucciso un numero di civili compreso tra 154 e 229 nella regione di Raqqa. L’ultima operazione militare autorizzata da Obama è stata, due giorni fa, l’uccisione di circa 80 uomini dello Stato islamico sotto cento bombe guidate in due campi nel sud della Libia.

 

Una ulteriore opzione è la creazione di una nuova alleanza – oltre alla Coalizione attuale – con la Russia per eseguire operazioni congiunte contro lo Stato islamico. Le città di Palmira e di Deir Ezzor, nell’est della Siria, sono candidate a inaugurare questa possibile collaborazione, ma il Pentagono in passato s’è opposto alla condivisione di intelligence e di procedure operative con i russi. Tuttavia, il presidente è Trump.

Di più su questi argomenti:
  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)