Il discorso di Theresa May sulla Brexit alla Lancaster House (Foto LaPresse)

Londra fuori dal mercato unico, dice la May

Paola Peduzzi

Per il premier inglese l'Europa non è un’opportunità per un paese che vuole diventare globale e vuole “controllare il numero di immigrati che entrano”

Milano. Ce ne andiamo, ma restiamo amici, ha detto il premier inglese, Theresa May, agli europei. La collaborazione resterà, sulla sicurezza, sul commercio principalmente, abbiamo molto in comune, non siamo e non saremo nemici, ma il Regno Unito uscirà dal mercato unico europeo, vuole volare da solo, senza lacci, senza regolamentazioni eccessive, senza tribunali di giustizia non sovrani, è la premessa necessaria per una “Global Britain”. La May ha parlato a un pubblico di diplomatici, in una delle sale più celebri della storia britannica diventata famosa con la serie tv di Netflix “The Crown” (questa Lancaster House era Buckingham Palace nella fiction), e ha confermato quel che si diceva negli ultimi giorni: il mercato unico europeo non è un’opportunità per un paese che vuole diventare globale, ma soprattutto vuole “controllare il numero di immigrati che entrano” nel Regno. Gli europei l’avevano ripetuto fino allo sfinimento: l’Unione europea è fatta di quattro pilastri, libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone e non si può scegliere una libertà soltanto, o tutte o nessuna. La May ha scelto nessuna e ai parlamentari che si lamentavano rumorosamente del fatto che il premier non avesse voluto parlare in aula ha concesso invece una grande occasione: la Camera dei Comuni e dei Lord avrà la possibilità di votare l’accordo raggiunto sulla Brexit.

 

Scandendo la sua visione con parecchi colpi di tosse, su uno sfondo bianco e rarefatto – solitudine pura: non poteva che essere così – la May si è ispirata al paper pubblicato dal think tank Policy Exchange “Clean Brexit”, firmato da Lord Lawson, il cancelliere dello Scacchiere della Thatcher, gran sostenitore dell’uscita del Regno Unito dall’Ue, nella versione più liberale – contraria, per intenderci, rispetto a quella sognata dagli indipendentisti dell’Ukip e di Nigel Farage. “Clean” è la parola trovata all’ultimo minuto per sintetizzare il dibattito logoro su “hard” e “soft” Brexit e rilanciare invece una proposta che vuole il paese proiettato verso l’esterno nel modo più flessibile – e sfrontato – possibile.

 

La concessione più grande fatta agli elettori della Brexit – che hanno votato “con gli occhi aperti”, ha sottolineato May, come per dire: non è vero che gli inglesi si sono pentiti, volevano il divorzio dall’Ue, e lo avranno – è stata fatta sull’immigrazione: per essere davvero libero, il Regno Unito deve poter controllare il flusso degli immigrati, il numero e le qualità dell’immigrazione, in modo da continuare a essere una calamita per il resto del mondo, ma alle proprie condizioni. Che l’immigrazione fosse determinante per la Brexit era chiaro fin dal voto, e su questo terreno s’è costruita la proposta del governo inglese, che include in sé però un’apertura, commerciale e politica, che non era condivisa da tutti prima del voto. Nell’eterno rincorrersi di alternative per la Brexit, questa versione “clean” assomiglia certamente a quella definita da Boris Johnson e Michael Gove, i “traditori” di David Cameron e del suo azzardo europeista.

Dopo giorni di incertezze, con la sterlina nervosissima nella sua altalena e i dati sull’inflazione all’1,6 per cento, mentre May parlava i dati economici sono rimasti più o meno stabili, anzi il valore della valuta britannica si è apprezzato rispetto al dollaro. Questo non significa che le incertezze si siano dissipate: quando la May parla di accordi commerciali “anche con l’Unione europea” apre un mondo di tecnicismi rilevanti, sull’applicazione delle tariffe previste per i paesi al di fuori dell’Unione e sulla fattibilità di questi accordi. Mentre i Brexitologi cercavano di dare un’etichetta alla Brexit della May, pareva chiaro che quest’approccio cosiddetto “canadese” ha appena mostrato i suoi limiti nel caos sul deal commerciale tra Ue e Canada e più in in generale per quel che riguarda il grande ritorno del protezionismo. Con una ispirazione globalizzatrice molto positiva May ha voluto superare l’impasse dell’adesione al mercato unico con un balzo solo, lasciando ancora alcune questioni aperte. Dalle domande dei giornalisti presenti – molte fatte da reporter francesi – si sono sentiti, come se fossero presenti in sala, i musi lunghi degli europei.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi