Theresa May (foto LaPResse)

May fa l'equilibrista ideologica, ma per tutti conta solo la Brexit

Paola Peduzzi

Il premier inglese utilizza ogni paravento possibile per non dover essere soltanto giudicata sul divorzio con l’Ue

Milano. L’offensiva antiscetticismo di Theresa May è iniziata ieri con il suo discorso sulla “società condivisa”, ultima evoluzione ideologica del conservatorismo britannico. Mentre il premier parlava di visioni e progetti, la sterlina stava scendendo di parecchio, un mezzo collasso: i mercati reagivano alle dichiarazioni del giorno precedente sulla Brexit. La May aveva detto che la permanenza nel mercato unico poteva non essere la scelta migliore per il Regno Unito, così è risalita la paura della cosiddetta “hard” Brexit che ha innervosito i mercati e soprattutto la valuta britannica, in altalena ormai da più di sei mesi. Il premier inglese sta facendo di tutto per non rimanere intrappolato, come leader e come politico, nella questione Brexit – è in programma per il mese di gennaio una serie di discorsi di cui uno soltanto, il 16 gennaio, dedicato all’uscita del paese dall’Unione europea – ma non c’è molto altro che il resto del mondo vuole sentire: quando si fa questa Brexit, e come. Tutto il resto è considerato un corollario che interessa soltanto alla May, la quale utilizza ogni paravento possibile per non dover essere soltanto giudicata sul divorzio con l’Ue. In realtà il discorso di ieri non è marginale. Da anni i Tory – e non soltanto loro – si interrogano su che visione di società interpretare e rivendere presso gli elettori, laddove per società si intende in particolare il rapporto tra stato e cittadini.

David Cameron, ex premier, riportò i Tory al governo e alla vittoria con il concetto di “Big Society”, la comunità virtuosa che lavora al posto dello stato, costruendo quel senso di appartenenza su cui uno stato indebitato non può investire più di tanto. Nel bilancio del cameronismo, la “Big Society” rientra tra i concetti meno efficaci lanciati dall’ex premier, e il giudizio pur essendo un po’ ingiusto è certo vero: il governo cameroniano non è mai riuscito a far funzionare davvero quest’intuizione. La May si sposta più in là, avventurandosi in una strada piuttosto stretta che sta tra il liberalismo e il big government, ribadendo di essere a favore dell’apertura e della globalizzazione ma anche della forte presenza dello stato nella vita dei cittadini. Lo stato è buono e garante di equità, per la May, che ha accusato i governi troppo liberali, troppo radicati in un centro poco attento e poco sensibile, di non aver avuto la capacità di controbattere “il risentimento crescente”. Il liberismo centrista è la causa della rabbia montante, dice la May, rivendicando al proprio governo l’opportunità di occuparsi di chi è stato lasciato indietro dagli eccessi del mercatismo. Il premier ha ripetuto dati e immagini che aveva già detto nel luglio scorso, appena nominata a Downing Street, rafforzando la sua retorica in difesa dei dimenticati.

L’obiettivo della May è chiaro: vuole intercettare il malcontento e non lasciare che questo arricchisca elettoralmente soltanto i partiti cosiddetti populisti – e tra questi si annovera anche il Labour corbyniano che ha programmaticamente scelto di rilanciarsi come il punto di riferimento a sinistra degli anti élite e degli anti sistema. Ma per farlo il premier utilizza temi a lei molto cari – come la sanità, in particolare le cure per le malattie mentali dei bambini – alternati alla battaglia contro “le ingiustizie nascoste” che resta a oggi ancora fumosa. L’ala “compassionevole” del partito ha festeggiato l’introduzione della “società condivisa”, ma le ombre su una premiership ondivaga non si sono dileguate, un po’ perché questa society assomiglia a quella di Cameron, solo è molto più “tetra”, ha scritto lo Spectator, e un po’ perché, davvero, agli inglesi e al resto del mondo oggi interessa soprattutto la Brexit. La May ha precisato di non aver mai cambiato idea sulla Brexit: dice che ripete sempre che il divorzio è un’opportunità e il governo lo gestirà nell’interesse nazionale. Lo stillicidio di notizie e indiscrezioni continuerà ancora, e così l’instabilità, fino al prossimo, “definitivo” discorso. 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi