Donald Trump (foto LaPresse)

La falange anticinese di Trump

Robert Lighthizer è l’ultimo arruolato per la guerra commerciale con la Cina. Per evitare la “Death by China”, il presidente eletto ordina un ritorno al protezionismo di destra che non dispiaceva nemmeno a Reagan

New York. L’avvocato Robert Lighthizer, nominato ieri rappresentante del Commercio, è l’ultimo membro della falange anticinese costruita da Donald Trump. Su diversi aspetti dell’agenda politica il presidente eletto ha smussato gli angoli più taglienti con nomine che guardano al centro e correzioni retoriche che vanno nel senso della moderazione. Non sulla guerra commerciale con la Cina. Lighthizer, il nuovo responsabile dei trattati commerciali nonché principale consigliere della Casa Bianca in materia, è un mastino protezionista che per decenni ha difeso in tribunale i grandi produttori di acciaio americano messi in ginocchio dalla concorrenza straniera e in qualità di funzionario dell’Amministrazione Reagan ha contribuito a erigere quel sistema di dazi (ad esempio sulle moto giapponesi per difendere la Harley-Davidson) che poi è stato sepolto dalla memoria collettiva per servire la mitologia postuma del puro eroe liberista. “Spesso Reagan ha infranto i dogmi del libero commercio”, ha scritto Lighthizer in un articolo apparso sul New York Times nel 2008 con il significativo titolo “Grand Old Protectionists”. L’avvocato tracciava in quell’occasione una sintesi della sua tesi di fondo: il free trade non è parte della visione del mondo conservatrice. L’adesione all’utopia di un mondo senza confini da parte del Partito repubblicano ha rappresentato un tradimento di quei princìpi: “I moderni free traders aderiscono al loro ideale con una passione che fa sembrare Robespierre un uomo prudente. Non lasciando spazio alle sfumature e alle flessibilità. Abbracciano il libero commercio senza regole anche se questo permette alla Cina di diventare una superpotenza. Vedono soltanto gli aspetti positivi, anche quando devono chinare il capo di fronte ai capricci dei burocrati antiamericani della World Trade Organization”.

 

  

Per Lighthizer, Reagan era un esempio del pragmatismo conservatore, capace di combinare l’aspirazione alla crescita economica con la protezione degli interessi nazionali. E’ stato lo stesso presidente repubblicano a fare accordi con il Giappone e la Germania per deprezzare il dollaro e favorire le esportazioni americane. La nota del transition team per la sua nomina dice che gli accordi che Lighthizer ha negoziato nel periodo reaganiano “erano duri allo stesso modo, e spesso hanno dato origine a una significativa riduzione dei flussi di beni ingiustamente valutati negli Stati Uniti”. A Washington Lighthizer è diventato uno specialista nello sfruttare in senso protezionista la cosiddetta “sezione 301”, la regolamentazione dei dazi che negli anni Ottanta ha rallentato l’ingresso della manifattura giapponese nel mercato americano. Quando le regole del Wto hanno rimpiazzato l’assetto esistente lui è diventato un inossidabile critico del sistema commerciale sopranazionale e ha accusato la Cina, che ha aderito all’organizzazione nel 2001, di non avere nemmeno rispettato patti che comunque l’avrebbero favorita. “Anni di passività e di indecisione dei politici americani hanno permesso al deficit commerciale fra Stati Uniti e Cina di crescere a tal punto che ora è considerato una delle più serie minacce alla nostra economia”, ha scritto in una testimonianza al Congresso nel 2010, suggerendo di cambiare rotta anche a costo di violare le disposizioni del Wto: “I rappresentanti americani dovrebbero prendere più sul serio questi problemi, assumendo un atteggiamento più aggressivo nei confronti della Cina”.

 

Da grande interprete di cavilli e fiutatore di pertugi giudiziari, Lighthizer vorrebbe interpretare in modo elastico le regole commerciali per “fronteggiare il mercantilismo cinese”. Il rappresentante del commercio completa una squadra protezionista capitanata da Wilbur Ross, segretario del Commercio e grande investitore nel settore dell’acciaio che a dispetto delle posizioni moderate assunte in passato ora aderisce a parole alla parte più estrema della retorica trumpiana per quanto riguarda la competizione cinese. “Non ci saranno guerre commerciali”, dice Ross, che interpreta lo stesso pragmatismo del presidente eletto, un tycoon protezionista che confeziona abiti nell’odiato Messico perché il sistema penalizza la produzione negli Stati Uniti, e finché il terreno non sarà di nuovo appianato giudica lecito andare alla ricerca del profitto ovunque si trovi. Uno degli alleati di Ross nelle guerre dell’acciaio con la Cina è Dan DiMicco, ex amministratore delegato di Nucor Corp diventato consigliere commerciale di Trump. Nel libro “American Made: Why Making Things Will Return Us to Greatness”, uscito nel 2015, DiMicco contesta il mito dell’irreversibilità dell’esodo del settore manifatturiero in Cina e in altri paesi con manodopera a basso costo. Ristabilire una politica protezionista è il modo per riequilibrare la competizione e rilanciare l’industria americana, un approccio che s’attaglia perfettamente alla logica di un presidente che vorrebbe smantellare tutti gli accordi commerciali, dal Nafta in giù.

 

Il più aggressivo fra i mastini di Trump è Peter Navarro, professore di Economia a Irvine, in California, e democratico di formazione che è stato scelto per guidare il Consiglio nazionale per il commercio, organo creato dal presidente eletto per sottolineare l’importanza della controrivoluzione commerciale. Navarro definisce la Cina “il più efficiente assassino del pianeta” e sostiene che Pechino non abbia altro scopo se non quello di mettere in ginocchio gli Stati Uniti combinando metodi economici, politici e militari: “La perversa forma del capitalismo cinese combina armi protezioniste e mercantiliste per smantellare le industrie americane, un posto di lavoro alla volta”, ha scritto nella sua Bibbia, “Death by China”, un manuale che raccoglie tutti gli attacchi che il dragone sta sferrando, impunito, all’America, dalla svalutazione artificiale della moneta fino agli eserciti di hacker che penetrano nei sistemi di sicurezza del settore privato e pubblico. Le trincee commerciali sono la prima forma di resistenza anticinese nella guerra dichiarata da Trump. 

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