Il presidente tedesco Joachim Gauck a una cena Iftar a Berlino (foto LaPresse)

Intellettuali tedeschi contro i fasti islamofili e multiculti. “Siamo una corda tesa sopra l'abisso”

Giulio Meotti

Contro il conformismo sui migranti. E la ragazza col velo non stringe la mano a Gauck

Roma. La “de-escalation che parte dall’occidente”, proposta dall’attuale vicepresidente del Bundestag, Claudia Roth, come soluzione al terrorismo è in piena azione da un bel po’ in Germania: la Bundeswehr (l’esercito) sembra la Croce Rossa, ministri come Wolfgang Schäuble predicano un “islam di stato” per integrare cinque milioni di musulmani, le corti della sharia operano a pieno ritmo, i comici “blasfemi” come Jan Böhmermann sono criminalizzati e la “notte di Colonia” è stata derubricata a incidente multiculturale. “Lunedì notte non ho dormito dopo l’attentato al mercato di Natale a Breitscheidplatz nella mia città, Berlino”, dice al Foglio Henryk Broder, intellettuale ebreo, ex firma dello Spiegel oggi alla Welt, dove è il più duro critico del multiculturalismo. “Ho settant’anni e sono depresso, non so come faremo a uscire da questa malattia nazionale, sembra una situazione senza speranza. I media continuano a celebrare i fasti del multiculturalismo. Dovunque guardino, i combattenti di Allah non vedono che gente pronta a capitolare prima del tempo”. Come il musicista Uli Kempendorff, che ieri ha detto al New York Times: “La gente si sentiva al sicuro a Berlino a causa dell’enorme sostegno per i rifugiati e per l’apertura della Germania. A noi tedeschi piace pensare che siamo ‘puliti’, nonostante gli attacchi dei droni che partono da Ramstein, le rendition della Cia dall’aeroporto di Lipsia e il sostegno in una forma o nell’altra a tutte le guerre degli Stati Uniti. Era solo questione di tempo prima che qualcosa di simile accadesse”. Come dire, i tedeschi se la sono cercata.

 

Eppure tanti grandi intellettuali, provenienti dal Sessantotto e dalla sinistra, sono in agitazione. Come Gerhard Richter, il pittore più famoso di Germania, che giorni fa ha detto: “Il discorso sul sentimento d’accoglienza? Menzogna. Io sono un po’ più scettico della signora Merkel sul fatto di poter gestire questa emergenza. Non stiamo affatto accogliendo i rifugiati. Io non li inviterò a cena, perché invito solo chi conosco, sia esso nero o danese”. Il filosofo Peter Sloterdijk, rettore della Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe, ha scritto che “in Germania si continua a credere che un confine esista unicamente per essere oltrepassato. Ma l’autodistruzione non è un dovere morale”. Botho Strauss, il più audace innovatore del teatro tedesco, sullo Spiegel ha pubblicato un saggio dal titolo “Der letzte Deutsche”, l’ultimo tedesco, in cui attacca “il sempre più imperante conformismo politico-morale”. Rüdiger Safranski, autore di biografie-bestseller, ha parlato alla Weltwoche: “Oggi in politica regna un moralismo sempre più infantile. Merkel non ha il mandato democratico per sfigurare un paese come la Germania, dove affluiscono milioni di immigrati islamici”.

 

Durissimo lo scrittore Frank Böckelmann, l’amico di Rudi Dutschke e che ora, da direttore di Tumult, critica il multiculturalismo. Come il poeta e scrittore Hans Magnus Enzensberger, che spiega: “Se critichi i risvolti autoritari della Ue eccoti bandito, in compagnia di Le Pen. Ma bisogna avere il coraggio e il gusto di pensare con la propria testa, e dirlo con la propria lingua”. Sulla Welt ha scritto anche Peter Schneider, uno dei più famosi scrittori tedeschi, per il quale “la negazione della realtà ha distrutto la nostra democrazia”. “Da due anni viviamo come agricoltori ai piedi di un vulcano, che può scoppiare in qualsiasi momento”, continua al Foglio Henryk Broder.

 

 

“Mi sento come se stessi galleggiando su una corda tesa sopra un abisso. Non sono un nazionalista tedesco, neanche un patriota. Non mi importa se la Germania vince il campionato europeo, penso solo che questo paese, questa società, meriterebbero di meglio. Qualcosa di meglio di questo imperialismo morale banale, la cinica ‘Willkommenskultur’ (cultura dell’accoglienza)”. Due anni fa, il regista tedesco Sönke Wortmann cominciò a raccogliere i frammenti di vita dei cittadini della Germania. Nacque il film “Autoritratto”, con i tedeschi affaccendati dietro agli animali domestici, allo sport, alle auto. Ma era come materiale d’archivio di un’epoca d’oro. Passata. Quella nuova è immortalata da un video di tre giorni fa, in cui il presidente, Joachim, era in visita alla scuola Theodor Heuss a Colonia, dove studiano i migranti. Gauck stringe la mano a tutti, ma quando arriva alla studentessa con il velo islamico, lei ritira la mano. Sönke Wortmann ha già pronto il titolo del suo prossimo film: “Autoritratto della nuova Germania”. 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.