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La guerra di civiltà spiegata a Galantino

Claudio Cerasa

La retorica della pacificazione non ci salverà da chi uccide in nome dell’islam

Che cosa lega l’omicidio dell’ambasciatore russo in Turchia (19 dicembre), la strage con 12 morti nel mercatino natalizio di Berlino (19 dicembre), l’uccisione di dieci turisti a Karak (Giordania, 18 dicembre), la decapitazione di un prete nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray (Francia, 26 luglio), il machete con cui un siriano ha ucciso una donna incinta a Reutlingen (Germania, 24 luglio), l’attacco kamikaze sferrato a un concerto con 2.500 persone ad Ansbach (Germania, 24 luglio), i colpi d’ascia di un ragazzo afghano in un treno regionale tra Würzburg-Heidingsfeld (Germania, 18 luglio), la mattanza sulla Promenade des Anglais di Nizza (Francia, 14 luglio), le 29 persone uccise a Dacca nel ristorante Holey Artisan Bakery (1 luglio), i tre attacchi suicidi che hanno colpito l’aeroporto di Istabul uccidendo 44 persone (28 giugno), le 10 persone uccise in Daghestan in un attacco suicida (Russia, 30 marzo), le 40 persone uccise da un kamikaze a Baghdad durante una partita di calcio (25 marzo), i 31 morti dell’attentato all’aeroporto di Bruxelles (22 marzo), l’attacco suicida al palazzo presidenziale di Aden che ha portato via 11 persone (Yemen, 28 gennaio), il commando di terroristi che ha ucciso due persone a Giacarta (Indonesia, 14 gennaio), il camion bomba che ha ucciso in un campo di addestramento della polizia in Libia 70 persone (8 gennaio), l’attacco contro i turisti israeliani a Giza in Egitto (8 gennaio)? Che cosa hanno in comune gli attentati che compongono l’impressionante striscia di sangue (e il nostro elenco, purtroppo, non è neppure completo) realizzata nel corso del 2016 dai soldati dello Stato islamico? Li lega il fatto di essere attentati organizzati da rifugiati? Li lega il fatto di essere attentati organizzati da persone molto povere, o molte depresse, o vittime del liberismo sfrenato? Li lega il fatto di essere delle reazioni contro azioni illiberali e omicide dei colonialisti occidentali che con il loro interventismo in medio oriente hanno provocato gli islamisti? Si può pensare tutto questo e ci si può continuare a illudere, coccolandoci dolcemente nel nostro rassicurante senso di colpa, che la violenza innescata dall’islamismo politico, che ha nel jihad la sua forma più estrema ma non unica di manifestazione estremista, sia un problema generato dall’occidente che si risolve accogliendo di più, tollerando di più e  combattendo di meno.

Ci si può continuare a raccontare frottole rassicuranti e pensare intensamente che una strage in Libia, un attentato a Parigi, un kamikaze a Nizza, un prete sgozzato in chiesa siano spiegabili con la categoria della psichiatria (sono tutti pazzi) o con quella della macroeconomia (“è tutta colpa del denaro”, ha detto ieri Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana). Ci si può continuare a raccontare favole e non svegliare le nostre coscienze. Oppure si può decidere di non prenderci più in giro e guardare la realtà per quello che è, e gli attentati per quello che sono. La diciamo in modo semplice, senza girarci attorno. L’islamista che uccide non è un pazzo squilibrato ma è un uomo dotato di intelletto (e spesso dotato anche di istruzione e di denaro) che agisce spinto da un’ideologia omicida che trova una sua giustificazione esplicita in un’interpretazione non squilibrata ma letterale di alcuni passi del Corano. Non è un problema di rifugiati, non diciamo cazzate (Salah Abdeslam era rifugiato? L’attentatore di Nizza era un rifugiato?). Il problema che in molti continuano a negare è che nel mondo e soprattutto in Europa è in corso una guerra di civiltà a sfondo religioso dalla quale sarà difficile mettersi al riparo se ciascuno di noi continuerà ad alimentare la retorica della pacificazione. Quella che stiamo osservando è una guerra che nasce non da una reazione ma da un’azione precisa finalizzata a distruggere i simboli della libertà degli infedeli. La libertà sessuale (San Bernardino). La libertà religiosa (Rouen). La libertà dell’occidente (Nizza, il 14 luglio, il giorno dell’indipendenza). La libertà d’espressione (Charlie). La libertà di movimento (aeroporti). Il terrorismo islamico non fa distinzione tra sfumature. Puoi essere un ebreo a Tel Aviv, un uomo che partecipa a un concerto a Parigi, una yazida in Iraq, un cristiano in Siria. I dettagli non contano: resti sempre un bersaglio.

 

 

La sintesi perfetta, per trovare un filo alla scia islamista di sangue del 2016, l’ha offerta ieri ancora una volta il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu: “Questo attacco è l’ultimo di una serie di attacchi riprovevole. Questo terrorismo è espressione della guerra che l’islamismo estremista ha dichiarato al mondo occidentale, alla nostra cultura, ai nostri valori. Il terrore si sta diffondendo in tutto il mondo e può essere arrestato solo se lo combattiamo. Ma esiste solo un modo per sconfiggere i terroristi: tutte le nazioni libere sotto attacco devono unirsi e combattere”. Non è l’interventismo che genera il terrorismo. E’ il non interventismo che lascia ai terroristi la possibilità di agire, di crescere, di strutturarsi, per colpire in qualsiasi momento il cuore e i simboli della nostra libertà.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.