Emmanuel Macron a settembre durante una visita alla Space Fair di Rennes (foto LaPresse)

Macron a tutto campo su sinistre, Renzi, islam e la corsa verso l'Eliseo

Mauro Zanon

L’ex ministro francese ci spiega la sua corsa presidenziale fuori dalla gauche, perché il suo staff e i suoi fan sono tanto giovani e su Hollande dice: “Non ci parliamo più”

Bordeaux. Sabato scorso, al Parc des Expositions di Porte de Versailles, a sud di Parigi, ha riunito 15 mila persone per il suo primo meeting di campagna elettorale, numeri che la gauche tradizionale non riesce più nemmeno a immaginare. Emmanuel Macron, ex ministro dell’Economia francese, leader del movimento politico En Marche! e candidato outsider alle presidenziali del 2017, è l’uomo del momento. Da quando ha abbandonato l’esecutivo socialista per prendere un’altra strada sulla rotta dell’Eliseo, la sua progressione è stata incessante e le adesioni al suo progetto di superamento degli schemi politici tradizionali, ni droite ni gauche, aumentano. Il Foglio lo ha incontrato per un’intervista a bordo di un Tgv Bordeaux-Parigi, risalendo un paese che vuole riprendere il proprio destino in mano. “In Francia c’è un obbligo di risultati e di riuscita, ovunque nel paese c’è una grande aspettativa di cambiamento, si sente il bisogno di un’offerta politica coerente. Con En Marche!, penso di aver disvelato e cristallizzato qualcosa che era presente e va al di là di quello che posso rappresentare io stesso, ossia il dinamismo del popolo francese, la volontà di cambiamento dei francesi – dice Macron – Catalizzo qualcosa che è molto più forte della mia semplice persona, bisogna essere umili in questo momento. Il popolo francese ha naturalmente la sua storia, la sua lingua, il suo stato, ma ha sempre avuto nel suo Dna una ricerca permanente di una forma di emancipazione, di liberazione, di autodeterminazione, anche prima della rivoluzione”. “Il se passe quelque chose”, sta accadendo qualcosa, ci dicono tutti a Bordeaux, lì dove Macron ha deciso di trascorrere due giorni.

A Bordeaux Macron ha incontrato alcuni produttori di vino locale, ha visitato un casa di riposo per anziani con tecniche all’avanguardia, si è intrattenuto con i giovani bordolesi che hanno deciso di impegnarsi per En Marche!, e ha tenuto un comizio in una sala conferenze ancora una volta pienissima. Il suo giovane staff, guidato da Sylvain Fort e Sophie Ferracci, ci dice che gli iscritti di En Marche! sono 120 mila, che ogni giorno giungono nuove firme di patrocinio da parte dei sindaci, e non ci sarà ovviamente “nessun problema”, assicurano, per raggiungere le cinquecento richieste dalla legge. Di giovane, oltre alla sua cerchia di fedelissimi, c’è anche gran parte del suo elettorato, i suoi sostenitori, i “marcheurs”. “C’è una generazione che ha scoperto l’esperienza militante con En Marche!, che è entrata per la prima volta nella vita politica con En Marche!, e la sta cambiando – dice Macron – Non sono io che trasformo la vita politica, sono queste persone a farlo, più di me. Io ho soltanto detto: ‘Il re è nudo’. Ho denunciato un sistema che non funzionava più, che aveva incoerenze profonde e ho preso la mia parte di rischio e le mie responsabilità per dirlo. Il mio referente dipartimentale nella Gironda è un professore all’Università di Bordeaux, che come molti altri aderenti non si era mai impegnato in politica. Questi sostenitori fanno politica in maniera diversa, non si chiudono su loro stessi, non sono lì per catturare dei posti. E’ un approccio totalmente differente, ed è questo che trovo interessante”.

 

 

Un’inchiesta dell’Observatoire national de la délinquence et des réponses penales (Ondrp) ha evidenziato, una settimana fa, che la prima preoccupazione dei francesi è il terrorismo. “La creazione di una ‘polizia di prossimità’ e la ricostruzione di un’intelligence territoriale sono le prime risposte contro il terrorismo”, spiega l’ex ministro. “Poi bisogna dare una visibilità e conferire un impegno chiaro alle nostre forze armate, alla polizia e alla gendarmeria, ci vuole un comando per dar loro missioni che siano coerenti. La missione dell’esercito è di andare sui campi delle operazioni e renderli sicuri, sradicare, nel quadro della coalizione internazionale in cui siamo, il terrorismo islamista. La polizia e la gendarmeria devono proteggere il territorio nazionale, e per questo ho proposto una legge quinquennale che offra loro i mezzi per funzionare. Dietro ciò, c’è il realismo che voglio avere in politica internazionale, lavorando con le potenze regionali e le coalizioni utili per sradicare i terroristi”. All’interno dei confini nazionali, spiega Macron, “c’è anche una sfida di civiltà, una sfida morale. Non ho mai utilizzato la parola ‘guerra’, c’è una lotta, che è una lotta armata contro dei terroristi, perché non è un esercito, né un paese che fa la guerra contro di noi: sono dei fanatici. La loro strategia è quella di dividere il paese, di spingerci alla guerra civile, alla frattura. Il nostro ruolo, dunque, è quello di restare in piedi e non cedere. Ci vuole un’autorità calma per lottare contro il terrorismo, che eviti di mischiare tutte le questioni e di pensare che lottando contro il comunitarismo si risponde al terrorismo. Il comunitarismo è un terreno che può essere favorevole al terrorismo, ma non è la prima causa”.

 

Macron, tuttavia, sottolinea che c’è un grande problema di comunitarismo nella società francese, insistendo su un concetto: una parte della società è stata “assignée à résidence”. “C’è una parte della società che si sta separando. Perché? Perché è stata emarginata, isolata, si è allontanata dalla République, e soffre dell’accumulo di difficoltà economiche, della disoccupazione di massa, della frustrazione sociale. Allo stesso tempo non c’è stata una politica di mobilità economica e sociale, di mixité sociale e di formazione. Questo ha provocato una moltiplicazione delle difficoltà e ha nutrito una controcultura, con interi quartieri che si sono ripiegati contro la République. E’ così che i salafiti si sono installati in questi quartieri e hanno utilizzato questa frustrazione economica, questo disimpegno da parte dello stato, per indottrinare i loro fedeli”, spiega Macron. Come recuperarle, dunque, queste zone dove le donne, come mostrato la scorsa settimana da un reportage choc di France 2, sono obbligate a nascondersi, quando non addirittura interdette? “La riconquista avviene anzitutto attraverso lo smantellamento delle associazioni con predicatori che tengono discorsi che non sono conformi alle leggi della République. Possiamo farlo, è previsto dalla legge e bisogna applicarla. In molte zone, per clientelismo elettorale, si è lasciato che si producesse questo scarto, questa separazione”, dice Macron. “In secondo luogo, bisogna restaurare i servizi pubblici, a partire dalla ‘polizia di prossimità’ di cui parlavo prima, e lavorare sulla scuola, raddoppiando le classi, facendo uno sforzo educativo che permetta di riportare questi giovani verso di noi. Bisogna applicare una vera politica di mobilità sociale. Infine, vi è la lotta contro ogni forma di discriminazione, attraverso la generalizzazione del test situazionale e gli incentivi alle assunzioni di questi giovani”. E ancora: “Accanto alla politica educativa c’è la politica culturale. Siamo dinanzi a popolazioni che si sono separate e che bisogna reintegrare nella cultura della République, nella cultura francese”.

 

Fin dal suo arrivo al ministero dell’Economia, nell’agosto del 2014, Emmanuel Macron si è sempre rivendicato “liberale”, affermando che il “liberalismo è un valore di sinistra” e attirandosi per questo le ire della sinistra giacobina. “Nella gauche francese c’è un superio marxista che è ancora forte, accanto al fascino per la sinistra rivoluzionaria – spiega Macron – Dietro ciò, c’è una confusione che porta a situare il liberalismo a destra, confondendo liberalismo e conservatorismo. E’ falso dire che il programma di François Fillon è un programma liberale. Ci sono degli elementi di liberalismo sulla riforma del diritto del lavoro, ma è anzitutto un programma di abbassamento delle tasse dei più ricchi, non un programma liberale. Il liberalismo è una filosofia dell’uomo che mette al centro la dignità della persona e dell’individuo, e la possibilità della sua autonomia. Ciò passa attraverso la lotta contro tutte le rendite, tutti i corporativismi, contro tutto ciò che blocca la società e l’emancipazione dell’individuo. La politica da mettere in pratica nei quartieri difficili di cui parlavo precedentemente è una politica liberale, non una politica paternalista, di isolamento. Quello che propongo sul piano economico è una vera politica liberale con delle protezioni, affinché ci sia un’uguaglianza delle opportunità”. E ancora: “La cosa sorprendente è vedere la gauche gridare istericamente contro il liberalismo e la destra rinchiudersi in un conservatorismo anche in materia di politica internazionale, quando in questo paese il dibattito intellettuale è stato uno dei più vivaci delle società occidentali contro i totalitarismi. L’antitotalitarismo era un liberalismo politico e abbiamo perso il filo di tutto ciò”.

 

Della sua parentesi a Bercy, la sede del ministero dell’Economia, Macron si ricorda le grandi difficoltà per far passare le proprie idee liberali dinanzi ai “giochi di clan in seno ai movimenti politici” all’“organizzazione stessa del mondo politico che si è creata, ossia una forma di corporativismo, anche lì”. E quando gli chiediamo qual è stato il momento in cui ha deciso di rompere con l’esecutivo socialista di cui faceva parte per intraprendere un’avventura solitaria ci risponde così: “Non ho mai voluto intraprendere un’avventura solitaria, ho voluto continuare un’avventura coerente con molte persone che mi accompagnavano dall’inizio e con le quali parlavo quotidianamente. A partire dall’autunno 2015 questo progetto ha preso forma, perché ci siamo resi conto di essere in una situazione in cui bisognava superare i clivage che non ci permettevano di agire. Abbiamo così deciso di costruire qualcosa di diverso, trovando alcuni uomini politici e persone della società civile per realizzarlo”. Con il presidente della Repubblica, François Hollande, dice di “non parlare più”, “ritorneremo ad avere un rapporto, ma da quando ho abbandonato il governo il rapporto che c’era si è interrotto”. Sull’ex premier, Manuel Valls, e sul rischio di dispersione del voto a sinistra al primo turno delle presidenziali in caso di una sua vittoria alle primarie di partito, afferma invece che l’“approccio di En Marche! è profondamente differente”. “E’ un approccio che vuole superare i quadri politici tradizionali e raggruppare le voci del centrosinistra e della sinistra di governo con quelle del centro, della destra e della società civile. La nostra dinamica è assolutamente diversa”, dice Macron.

 

Molti osservatori, in Francia, hanno sottolineato le prossimità di idee e di visione dell’economia e della società tra l’ex presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, e Emmanuel Macron, già quando quest’ultimo era al vertice del ministero dell’Economia. “Matteo Renzi è una persona per la quale ho molta ammirazione e rispetto. Ha coraggiosamente riformato il paese durante i suoi anni al governo, così come aveva fatto Mario Monti, che sulla riforma delle pensioni era stato molto coraggioso, ed è stato vittima, a mio avviso, di una serie di giudizi ingiusti sul suo operato”, dice al Foglio il presidente di En Marche!. “Renzi ha preso un rischio su una questione di politica domestica con questa riforma costituzionale, che ha aggregato un’opposizione politica che si era costituita contro di lui. Tuttavia, durante le discussioni per il rinnovo del governo abbiamo visto poche alternative credibili”. Su una possibile futura alleanza dei riformisti tra Macron e Renzi, il leader di En Marche! dice che “su molti temi possiamo assolutamente essere d’accordo. Il mio auspicio è quello di costruire una politica europea con la Germania, l’Italia e la Spagna. Io non denuncio l’Europa, la voglio cambiare. Spero di trovare una sintonia con Renzi in questo senso, perché non si può avanzare in Europa senza la Germania e l’Italia, senza la Spagna e la Francia”.

 

Sulla crisi delle sinistre nel mondo, Macron spiega che “non si può analizzare il fenomeno in maniera indistinta. Sono convinto che ci sia la necessità di pensare la trasformazione delle nostre economie e delle nostre società, nel quadro di una globalizzazione che è sempre più ineguale e dove la concorrenza è sempre più aperta. La socialdemocrazia, che è l’adattamento del modello sociale occidentale alla globalizzazione, non funziona più. Per questo voglio una ricomposizione progressista. Oggi è fondamentale capire come ricreare offerte politiche chiare, che vanno a cercare le energie del popolo. Negli Stati Uniti la sinistra ha perso perché Hillary Clinton non era la giusta candidata, è una gauche patrizia che ha perso, quando invece c’erano altri candidati di sinistra che senza dubbio avevano delle prospettive più forti”. Bernie Sanders? “Sì”, risponde Macron, aggiungendo che “anche la Brexit è il risultato di una politica conservatrice e ultraliberale, e non liberale, dove le classi medie sono state le prime vittime, e dove un primo ministro ha iniziato la sua campagna denunciando l’Europa, ciò che ha reso poi difficile far votare le persone a favore di questa”.

 

Sul possibile ritorno dell’ex primo ministro britannico, Tony Blair, dice di essere “dubitativo”, “anche perché non è proprio alla tradizione britannica vedere dei dirigenti ritornare in campo”. E circa l’ipotesi di una grosse koalition all’orizzonte 2017, ci dice così: “La grande coalizione è quella che sto cercando di costruire con En Marche!, con donne e uomini di sinistra, di destra e di centro che preservano la loro identità per lavorare assieme”. Mancano venti minuti prima di arrivare a Parigi, alla Gare Montparnasse, quando gli chiediamo qual è il suo rapporto culturale con l’Italia, lui che al liceo aveva chiesto alla sua professoressa di teatro e futura moglie, Brigitte Trogneux, di riscrivere assieme a lui “L’arte della commedia” di Eduardo De Filippo. “E’ innamorato dell’Italia”, interviene sorridendo M.me Trogneux, seduta accanto a noi durante tutta l’intervista. “Andiamo molto spesso in Italia, è il paese, più di tutti gli altri, dove amo andare quando esco dalla Francia. E’ un rapporto culturale forte quello con l’Italia, con Roma, Firenze, Venezia, ma soprattutto con Napoli, che è la mia città preferita, perché è una vera città barocca. Ho letto molto il teatro italiano, da Pirandello a De Filippo, ‘Sabato, domenica e lunedì’, ‘L’arte della commedia’, ed è il formidabile teatro napoletano che mi ha portato a eleggere Napoli come città italiana del cuore”. “Ah l’Italie”, sospira Macron prima di salutarci e ricominciare a lavorare sui dossier del giorno. Prima di rimettersi en marche. Verso l’Eliseo.