Trump Tower (foto LaPresse)

Così si organizza una “Canossa dell'algoritmo” a casa Trump

Michele Masneri

Oggi il presidente eletto accoglie nella sua Tower i big della Silicon Valley, che in campagna elettorale lo avevano coperto d’insulti

San Francisco. Un G8 delle start-up, una Leopolda del digitale (o meglio, una Canossa dell’algoritmo). Prima di Natale Donald Trump riceverà i più grandi imprenditori digitali, con i meglio nomi di Silicon Valley. Lo rivelano indiscrezioni della stampa americana, secondo cui il presidente eletto ha precettato nella sua Trump Tower i più importanti imprenditori “del cyber”, come usa chiamare questo settore che apparentemente non lo appassiona. Al meeting di oggi ci saranno il numero uno di Google Larry Page, quello di Apple Tim Cook, la responsabile operativa di Facebook Sheryl Sandberg, oltre al ceo di Microsoft Satya Nadella, Chuck Robbins di Cisco, i boss di Intel, Ibm e Oracle. Il capo di quest’ultima, Safran Katz, particolarmente aperturista, come un Cuperlo della West Coast, ha detto che “il presidente deve sapere che siamo con lui e faremo tutto il possibile per dare una mano”. Insomma, pare che il mondo hi-tech sia pronto a scendere in soccorso del vincitore, in particolare contro il Trump spernacchiato e aborrito in campagna elettorale dal mondo della costa occidentale, baluardo liberal definito da Trump “élite costiera”. L’élite costiera, che aveva votato in massa per Hillary, che si sente orfana di Obama, aveva boicottato Trump in ogni modo: “La cosa peggiore mai successa nella mia vita” twittava Sam Altman, presidente del giga-incubatore Y Combinator, alla notizia dell’elezione. Shervin Pishawar, uno dei più importanti capitalisti di ventura, ha lanciato la secessione (la California avrebbe buon gioco, è lo stato più ricco della confederazione, con un pil di 2,46 trilioni di dollari, che ne fa il sesto paese sovrano più ricco del mondo).

A luglio, una lettera aperta di cento maggiori gruppi tecnologici di Silicon Valley aveva definito Trump una minaccia per l’innovazione; in prima fila c’era Apple, con cui lo scontro è sempre stato frontale: “Chi si credono di essere?” aveva detto Trump quando il gruppo di Cupertino si era rifiutato di sbloccare gli iPhone dell’attentatore del dicembre 2015. Adesso chissà cosa si diranno con l’ad Tim Cook (forse sarà costretto a far ingrandire il display dei telefoni, come Trump ha più volte richiesto sostenendo che erano troppo piccoli e che Steve Jobs “si sta rivoltando nella tomba”). Anche col patron di Amazon, Jeff Bezos, il confronto rischia di essere spumeggiante, poiché il Washington Post, recentemente rilevato da Bezos, non è stato carinissimo con Trump in campagna elettorale. E verrebbe proprio voglia di esserci, tra i divani damascati e le finiture d’oro massiccio in stile Liberace della Trump Tower, per vedere le facce degli imprenditori ecologisti-minimalisti calati coi loro dolcevita e i loro aerei privati sulla tratta San Francisco-New York, ad omaggiare il burino-in-capo. In realtà è possibile che ne escano contenti, perché “il cyber” potrebbe avere da guadagnare con Trump, in primis con gli sgravi fiscali per le mega corporation che rimpatriano la liquidità estera. E qualcosa hanno già avuto con la nomina all’Antitrust di Joshua Wright, giurista pro-corporation.

A organizzare l’incontro è il genero di Trump, Jared Kushner, appassionato investitore in tecnologia, di cui si sa l’influenza; e poi naturalmente Peter Thiel, fondatore di PayPal, consigliere di amministrazione di Facebook, unico tra i liberal della Silicon Valley ad aver endorsato Trump; proprio lui avrebbe mediato a lungo per portare i suoi colleghi in gita alla Trump Tower. Non tutti hanno accettato, anzi alcuni tra i più fondamentali nomi hanno risposto “no grazie”: secondo il magazine Recode, il ceo di Uber Travis Kalanick ha fatto sapere di essere all’estero; quello di Airbnb Brian Chesky pure; con altre scuse si sono defilati i boss di Netflix e Dropbox, e naturalmente Meg Whitman di Hp, fiera oppositrice di Trump, definito “disonesto demagogo” e paragonato a Hitler. Pare che invece non sia stato proprio invitato il ceo di Twitter Jack Dorsey, e sinceramente stupisce, dato l’uso immaginifico e intenso del social network cui il presidente eletto ci ha abituati. 

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