Manuel Valls (foto LaPresse)

Storia e fortune di Manuel Valls, che oggi si è candidato in Francia

Mauro Zanon

Il primo ministro annuncia una candidatura che sarà una “rivolta” e annuncia le sue dimissioni dal governo. Le prospettive alle primarie della sinistra, la rivalità con Macron e il rapporto con Hollande

Parigi. "Sono qui a Évry, nella mia città, quella della mia famiglia, dei miei figli, la città del mio cuore. Una città intensa, attraente, giovane, popolare. Una città dove tutti si parlano direttamente, con franchezza. Una città che è una scuola di vita. Allora sì, sono candidato alla presidenza della République". Il primo ministro francese, Manuel Valls, ha ufficializzato oggi la sua candidatura alle presidenziali del 2017, manifestando la sua "affezione" al capo di stato, François Hollande, e salutando la sua decisione di rinunciare a un secondo mandato come quella di uno "statista" che "ha posto l'interesse generale al di sopra di tutto".

Le sue dimissioni saranno effettive domani (per sostituirlo a Matignon è favorito il ministro dell'Interno, Bernard Cazeneuve), "voglio in completa libertà proporre ai francesi un cammino", ha dichiarato Valls. "La mia candidatura è una rivolta", ha detto l'ormai ex primo ministro, una rivolta contro l'idea che la gauche sia senza speranze alle prossime presidenziali, ma anche “la candidatura della conciliazione, della riconciliazione". L'ha annunciata dal suo feudo elettorale, Évry (Essonne), città di cui è stato sindaco dal 2001 al 2012, prima di entrare a Place Beauvau, al ministero dell’Interno. "La gauche è grande, è bella, quando parla a tutti i francesi", ha affermato Valls, prima di aggiungere: "La Francia ha bisogno della gauche (…). Voglio incarnare lo spirito francese, libero, indocile e ribelle (...) Voglio condurre la gauche verso la vittoria. Datemi questa forza, mobilitatevi, venite numerosi a gennaio. Voglio far vincere tutto ciò che ci assomiglia", perché "rien n'est écrit", nulla è già scritto.

Da Evry a Matignon, in attesa, chissà, del grande passo, "l'ascesa dell'ambizioso Valls", scrive il Figaro, è stata inarrestable. Già alle primarie del 2011, quando rappresentava l'ala destra del Ps in contrapposizione alla corrente giacobina del futuro ministro dell'Economia, Arnaud Montebourg, dichiarò di non voler osservare "la loggia presidenziale dall'orchestra", in cui i baroni socialisti volevano confinarlo. Ottenne il 5,63 per cento, non una percentuale travolgente, ma sufficiente per essere il portavoce di Hollande durante la campagna presidenziale e poter entrare nell'esecutivo. Da titolare del ministero più influente della République, Valls cura la sua immagine di uomo forte del governo e si fa notare per i suoi modi muscolari, quelli che erano piaciuti anche a Sarkozy, che infatti lo voleva, nel 2007, nel suo governo dell'ouverture.

Per sostituire un primo ministro grigio e senza carisma come Jean-Marc Ayrault, Hollande lo promuove nell'aprile del 2014 a Matignon, e dichiara che con Valls primo ministro dirigerà "un governo di combattimento". Poi arriva il rimpasto di fine agosto, fuori il no-global Montebourg e dentro il liberale descamisado Emmanuel Macron, e con quest'ultimo al governo iniziano anche i primi nervosismi. Promuovendo l'unica vera lenzuolata di liberalizzazioni del mandato di Hollande, e beneficiando delle copertine dei media parigini che lo eleggono come il nuovo astro nascente della gauche, il giovane inquilino di Bercy ruba la scena a Valls. Il primo ministro non accetta che Macron possa sfilargli il ruolo di modernizzatore della sinistra francese, le sue provocazioni lo innervosiscono, e quando Valls fonda En Marche!, nell'aprile del 2016, Valls è il più severo contro l'ex ministro dell'Economia.

 


Emmanuel Macron (foto LaPresse)


 

A fine agosto Macron si dimette, Valls è infuriato, vorrebbe andarsene anche lui per non restare intrappolato tra i dubbi amletici di Hollande, ma allo stesso tempo non vuole passare per traditore, e decide, turandosi il naso, di restargli ancora fedele. Poi però arriva il libro di confidenze, "Un président ne devrait pas dire ça”, il dérapage di troppo. "I nostri rapporti non sono più gli stessi", dice Valls, "sono pronto", afferma al Journal du dimanche. Hollande lo riprende, pranzano assieme all'Eliseo, "crisi inedita delle istituzioni", scrive la stampa. Le dimissioni di Valls rientrano, ma è soltanto un piccolo teatro.

Quattro giorni dopo il capo di stato socialista annuncia che non si ricandiderà per un secondo mandato, lasciando la strada libera al suo primo ministro. Come nel 2011, insomma, Valls passerà per le primarie, ma con l’obiettivo di vincerle, questa volta. Avrà di fronte Montebourg, capofila della sinistra radicale, che lo aspetta al varco dall'estate del 2014, e Benoît Hamon, anch'egli cacciato durante quel rimpasto agostano dal ministero dell'Istruzione, e ugualmente assetato di vendetta.

A Parigi giornalisti e frequentatori del Tout-Paris già si fregano le mani in vista del futuro scontro tra Valls e Macron, che ha confermato al Journal du dimanche di voler correre da solo e non volersi prestare al gioco delle primarie – “Queste primarie saranno O.K. Corral”, ha detto il fondatore di En Marche!, cioè una sparatoria sanguinosa. Jean-Marc Sylvestre, editorialista di Atlantico.fr, ha scritto che nemmeno Shakespeare nelle splendide pagine del “Riccardo III” avrebbe potuto immaginare il tasso di ferocia e frasi assassine cui assisteremo nelle prossime settimane, con Macron e Valls protagonisti indiscussi dell’arena politica. Entrambi vogliono incarnare il futuro della gauche, liberale sul piano economico e progressista sulle questioni di società, entrambi vogliono essere i portabandiera della “terza via” francese. A questo si aggiungono le adesioni pesanti dei sostenitori orfani di Hollande, come quella di Jean-Pierre Mignard, che ha annunciato di essere pronto ad “aiutare” il candidato di En Marche!. Lo stesso Stéphane Le Foll, portavoce del governo, che ha dichiarato di essere venuto a conoscenza della candidatura di Valls soltanto "questa mattina in macchina" (sic!), ha affermato che il suo sostegno all'ex primo ministro non sarà "automatico".

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