Le ceneri di Fidel Castro arrivano a Santiago de Cuba (foto LaPresse)

Castro e la seduzione delle masse, o la bellezza della forza della storia

Giuliano Ferrara

Per non essere stati castristi bisognava essere comunisti nell'Europa degli anni Sessanta. Fu uno scontro tra estetiche a decidere.

Detto quello che avevo da dire sulla ragionevolezza, e chissà come andrà nelle urne, parliamo della bellezza. Il problema di Castro sta tutto nella bellezza sua, dei suoi compagni, della sua isola, con le sue donne e le sue rumbe, mare cielo e tanta letteratura da realismo magico mescolata al consumo turistico caraibico. La bellezza come forza della storia. Che Cuba sia da cinquantasette anni una prigione o un bordello lo sanno tutti, e non c’è alfabetizzazione o cura sanitaria universali che possano cambiare la scena. Ma l’attenzione speciale riservata a questa morte simbolica si spiega solo, a parte l’osceno atto di omaggio di qualche membro dell’élite internazionale, con la seduzione delle masse. Solo il panciotto di Lenin, la barba di Trotskij e i baffi di Stalin, che quanto a dispotismo non hanno nulla da invidiare all’oppressivo regime dei castristi, hanno salvato dall’incantamento per il socialismo allegro dei rivoluzionari cubani una parte della generazione in bianco e nero della seconda metà del secolo scorso. Fu uno scontro tra estetiche a decidere. Le officine Putilov, la neve e la guerra da una parte, con il seguito criminogeno del Gulag e dell’industria pesante e della liturgia cominternista dei congressi, dei processi e della competizione tra due mondi; dall’altra la guerriglia “leggera”, gli scolari dei gesuiti e i medici argentini al potere mentre il boom esplodeva in occidente, le divise casual, le spiagge e le baie fatali dei porci, la Trilateral e le appassionanti fesserie sulle forze di liberazione del Terzo Mondo. Per non essere stati castristi bisognava essere comunisti, nell’Europa ansimante delle ideologie anni Sessanta. Castro o Fidel era un grande fake, un’ipotesi colorita e saporita sostenuta dalla canna da zucchero, poca roba, un sistema governato in jeep da un uomo solo al comando che non avrebbe avuto esiti tanto ingombranti e delittuosi se non nutrito e protetto dai missili e dal commercio estero anti-embargo dell’Unione Sovietica.

Dietro il Davide isolano e la fuffa alla Hemingway che lo esaltava come eroe solitario e caudillo della Rivoluzione in lotta contro la mostruosa potenza americana si stagliava nel suo crudo realismo un altro Golia. Castro con tutto questo non fu un pupazzo, donava il sangue nuovo della rivolta in occidente all’apparato invecchiato e imbruttito del mondo sovietico e del Patto di Varsavia. E se lo faceva pagare a un prezzo esoso, attento sempre a prendersi delle licenze da vero uomo di teatro, da attor giovane. I cinesi, che furono variamente ospitali e no con le missioni dei gesuiti, ma non accettarono mai la loro lezione, portarono le aberrazioni del comunismo alle vette teologiche del culto della personalità di Mao e alla rivoluzione culturale, ma si ricordarono confucianamente che il libretto rosso poteva essere buttato via, restava la famosa copertina di plastica da usare come portafoglio. E cosí il tramonto di tutti i comunismi lasciò a Castro in eredità la tutela dei sogni, un altro fatto insindacabilmente estetico o percettivo.

A Cuba tutto è fallito e rifluito nella gestione di polizia e nella dinastia di governo più o meno pragmatico dell’isola, però si poteva continuare a cantare il domani. E il coro per simili teatrini melodrammatici è sempre affollato. Obama aveva lanciato una ciambella di salvataggio, per ragioni intimamente legate al suo stile e al suo marketing, ma la cima che la legava alla terraferma ha cominciato a ritirarsi sulla superficie verde azzurra dei mari cubani con l’elezione di Trump. Ora l’isola, come dicono i vecchi cronisti del lungo funerale, è sciupata ma sempre bella. Ci sarà un giorno, e sarà un giorno più triste che bello, in cui si apriranno gli archivi della repressione, si capiranno meglio le ridondanze dell’estetica rivoluzionaria caraibica, e un’imperfetta libertà politica sostituirà quella perfetta illusione per la cultura di massa che fu l’epopea del comandante.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.