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L'Europa giochi in difesa. Esercito unico. Se non ora, quando?

Marco Valerio Lo Prete

Schäuble ha un’idea (armata) per l’èra Trump, il Parlamento Ue anche. Numeri e geopolitica dietro un ideale. Così Guido Roberto Vitale riunisce economisti e militari per ragionarci.

Roma. Si sbaglierebbe a prestare ascolto al ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, soltanto quando discetta dei conti pubblici (altrui) all’interno dell’Eurozona. Il politico nato settantasei anni fa a Friburgo in Brisgovia, quando si esprime – che sia sulla Grecia o sulle banche o sulla politica estera – indica prospettive quantomeno care a una parte influente dell’élite continentale. Nella sua ultima intervista al Financial Times, questa settimana, Schäuble ha indugiato sulle conseguenze geopolitiche dell’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti. Ha detto che “gli Stati Uniti sono ancora indispensabili per un mondo pacificato”, ma è altrettanto certo che “gli americani hanno sempre avuto ragione quando hanno chiesto che l’Europa condividesse maggiori responsabilità” per la difesa militare dell’occidente. “Il risultato delle elezioni americane è un campanello d’allarme. Dobbiamo essere più forti e più rilevanti, fare di più ed essere più uniti. Dobbiamo essere più abili, anche nella sicurezza e nella difesa”. Era già successo nel giugno scorso, dopo il voto sulla Brexit: i leader europei, colti di sorpresa da un altro paese anglosassone che sembrava marcare la distanza dal continente, riprendevano a rimuginare su una maggiore coesione e autonomia militare. Nel dopo Trump, toni simili a quelli di Schäuble sono stati utilizzati in queste ore dal Parlamento europeo (che martedì ha votato il suo appoggio a un piano che chiede maggiore coordinamento nelle politiche di difesa degli stati membri) e dal presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker (“E’ difficile che gli americani garantiscano per sempre la difesa dell’Europa, non solo perché è stato eletto Trump”). E’ un riflesso pavloviano, un po’ retorico, o c’è di più?

 


Wolfgang Schäuble (foto LaPresse)


 

Guido Roberto Vitale, banchiere d’affari e presidente della Vitale & Co. Spa, si dice “assolutamente d’accordo” con le parole di Schäuble, che definisce “leader di grandi vedute, rigido ma mai intransigente”. Vitale racconta al Foglio che otto mesi fa ha chiesto a un pool di economisti ed esperti del settore militare – i professori Gustavo Piga e Lorenzo Pecchi, il colonnello Andrea Truppo – di approfondire per quanto possibile il progetto di un esercito comune europeo. Ne verrà fuori un volume intitolato “Difendere l’Europa”, con prefazione di Lucio Caracciolo, che la Vitale & Co. distribuirà all’inizio del 2017. “Da tempo era evidente una tendenza pericolosa delle élite al governo sulle due sponde dell’Atlantico: una forma di allontanamento reciproco, oltre che – e soprattutto – dai propri elettorati. Trump, quando dice che i paesi dell’Europa dovranno spendere di più per la propria difesa, dice una cosa giusta – afferma Vitale – La Nato ha svolto una funzione storica fino alla caduta del Muro di Berlino, poi si è trasformata in un enorme alibi per gli europei. Ci ha fatto sempre comodo non investire sulla difesa per dedicare invece il massimo delle risorse a uno stato sociale che è diventato pletorico e inefficiente. Allo stesso tempo la Nato sembra anche essere diventata uno strumento di tutela degli interessi americani in giro per il mondo e un agente industriale-commerciale per il settore degli armamenti a stelle e strisce”.

Obiezione: se il progetto di una difesa comune si incarnasse in una “terza via” rispetto alla Nato, molti paesi europei non ne vorrebbero sapere, specie in una fase di discreto attivismo russo sullo scenario globale. “E’ un cane che si morde la coda. Gli europei non hanno una politica estera perché non hanno un esercito. Anche all’interno della Nato, infatti, abbiamo un ruolo ancillare. In tante partite che sarebbe stato utile giocare nell’interesse europeo, si pensi al medioriente, all’Ucraina o al Mediterraneo, l’Alleanza atlantica ha nicchiato. Nel frattempo però la Nato si è rafforzata ai confini della Russia. Ma oggi alienare Mosca dall’Europa si può fare soltanto se non si è mai studiata la storia. Davvero vogliamo raccontarci che l’ingresso del Montenegro nella Nato sia nell’interesse militare dell’Europa?”. Secondo Vitale, fuor di retorica, “la Brexit ha fatto cadere un velo, allontanando un paese da sempre contrario all’idea di un’Unione politica. L’elezione di Trump fa cadere un altro velo”. I paesi dell’Europa centro-orientale, più apertamente contrari a un qualsiasi esercito europeo che assomigli a un “doppione” della Nato, potrebbero essere convinti “dalla garanzia di pace che un’iniziativa simile può assicurare”. Vitale cita alcuni dati su cui sta lavorando: “Innanzitutto oggi Germania, Francia e Italia, da sole, hanno una spesa militare che è pari al 60-70 per cento di quella americana. In Europa però ci sono eccessive duplicazioni dei sistemi d’arma: 154 per la precisione, a fronte delle sole 27 negli Stati Uniti. I paesi dell’Unione europea hanno 17.000 blindati, contro i 27.000 americani, con l’aggravante che nella Ue ce ne sono 37 tipi diversi, contro i 9 degli Stati Uniti. L’Ue ha 1.859.000 persone sotto le armi, gli Stati Uniti 1.381.000. E’ sufficiente questo a dare un’idea degli sprechi che sarebbe possibile aggredire progettando delle forze armate comuni. Possiamo già cifrare risparmi attorno al miliardo di euro l’anno”. Nel 1954 la Francia rigettò la Comunità europea di difesa. Oggi cosa può essere cambiato? “Dalla ricerca e lo sviluppo alla manodopera qualificata, non va minimizzato l’effetto volano che un esercito comune avrebbe sull’economia. Inoltre, storicamente, un esercito amalgama le nazionalità. I paesi fondatori hanno dunque una carta per tentare il rilancio necessario dell’integrazione – conclude Vitale – Trump dice che dobbiamo spendere di più in difesa? Ha ragione. Adesso facciamolo, ma di nostra iniziativa e per creare un’Europa degna di questo nome e del suo ruolo nella storia”.