Shinzo Abe con Donald Trump (foto LaPresse)

Come cambiano le cose in Asia con Trump?

Giulia Pompili

Da Shinzo Abe a Xi Jinping: nessuno sa bene cosa succederà ora con l'"America first" del nuovo presidente americano

Roma. All’annuale vertice di cooperazione economica dell’Asia Pacifico che si è concluso domenica a Lima, in Perù, l’ombra del presidente eletto Donald Trump ha determinato le discussioni tra i ventuno leader della regione. Trump, durante la campagna elettorale, ha più volte espresso la volontà di demolire il Trans-Pacific partnership, uno dei più importanti trattati di partenariato economico che avrebbe dovuto costituire la legacy di Barack Obama in Asia. Ratificato nel febbraio del 2016, il Tpp ha visto protagonisti dodici paesi dell’area asiatica – Stati Uniti, Giappone, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Messico, Cile, Perù, Singapore, Malesia, Vietnam e Brunei – secondo l’ottica del tutti tranne la Cina. Per entrare in vigore, però, era in attesa dell’approvazione di ognuno dei parlamenti promotori, che avrebbero di fatto consegnato il destino (almeno economico) della regione asiatica all’alleanza strategica e dominante tra Washington e Tokyo, escludendo Pechino dai grandi giochi globali.

 

Nel frattempo, però, le cose in Asia sono cambiate, e molto. Un editoriale comparso sull’ultimo numero del magazine economico Nikkei Asian Review ricordava come durante l’ultimo Apec, quello delle Filippine del 2015, il messaggio di Obama sull’importanza strategica di un accordo di libero scambio, che proteggesse l’Asia-Pacifico dall’assertività anche economica cinese, fosse stato appoggiato soprattutto dall’ex presidente filippino Benigno Aquino e dal premier giapponese Shinzo Abe: “La maggior parte dei membri dell’Apec avevano manifestato il desiderio di lavorare con gli Stati Uniti e il Giappone per promuovere la pace nella regione. Al contrario, il presidente cinese Xi Jinping era sembrato isolato durante l’evento, mentre crescevano le preoccupazioni sulle prove di forza cinesi nel Mar cinese meridionale. Un anno dopo, le cose sembrano molto diverse”. Nelle Filippine, contro ogni aspettativa, le presidenziali sono state vinte da Rodrigo Duterte: The Punisher ha rimpiazzato uno dei più grandi sostenitori dell’Amministrazione americana (Aquino) mostrandosi diverse volte più vicino alle posizioni di Pechino rispetto a quelle americane. Di più: Duterte ha parlato esplicitamente di un “nuovo ordine mondiale” nel quale Manila vuole stare dalla parte di Cina e Russia. Durante l’ultimo vertice Apec di Obama da presidente, un altro degli alleati strategici americani, la Corea del sud, si è presentata a metà, con una presenza solo di rappresentanza del primo ministro Hwang Kyo-ahn. Il disastro politico della presidente Park Geun-hye, caduta in uno scandalo di corruzione e cattivi consiglieri che probabilmente sancirà la sua fine politica, ha un effetto di isolamento per l’America che contava sulla presenza filo-Washington della Park. In questo clima di profondo cambiamento e di incognite sul futuro non è un caso, quindi, se all’Apec di Lima, il presidente cinese Xi Jinping sia andato soprattutto per promuovere il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), accordo di partenariato economico a guida cinese venduto come “alternativo al Tpp”.

 

In realtà il Rcep mira semplicemente a migliorare ed estendere i benefici degli accordi economici già esistenti tra i dieci membri dell’Asean (l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico) più Giappone, Corea, Cina, Australia, Nuova Zelanda e India. I consiglieri economici di Pechino parlano di un accordo apolitico, puramente commerciale, e il presidente Xi nei giorni scorsi ha parlato spesso di globalizzazione, di apertura dei mercati, di cooperazione internazionale come antidoto al protezionismo “che fa male alla crescita globale”. Xi, insomma, ha fatto un discorso da leader globale, e la sua figura, in meno di dodici mesi dall’ultimo Apec, è tutt’altro che isolata. Nessuno in Asia ha ancora chiari gli effetti dell’“America First” trumpiana nella regione. Ma venerdì scorso Shinzo Abe è corso a incontrare il presidente eletto sulla Trump Tower, dopo averlo snobbato durante un suo viaggio in America in piena campagna elettorale, quando aveva preferito una photo opportunity con la Clinton. 

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.