Mark Zuckerberg (foto LaPresse)

E anche la Silicon Valley scopre l'America reale

Eugenio Cau
Apple, Microsoft, Amazon e Facebook, che avevano sostenuto Hillary in campagna elettorale, ora tremano al pensiero di avere Trump presidente. E intanto i loro titoli crollano in Borsa

Roma. Dopo lo sgomento, sono arrivati i comunicati dei ceo. Tim Cook, nume tutelare di Apple, ha scritto ieri una lettera per rincuorare il suo team davanti all’incertezza e alla barbarie che si profilano all’orizzonte. “La nostra stella polare non è cambiata”, noi ad Apple “celebriamo la diversity nel nostro team qui negli Stati Uniti e nel mondo”. Satya Nadella di Microsoft ha scritto su Linkedin che la compagnia continuerà nella sua mission di “incoraggiare una cultura di diversità e inclusione”. Mark Zuckerberg di Facebook ha fatto capire che è ora di occuparsi di cose più importanti, come curare le malattie. Jeff Bezos di Amazon si è espresso su Twitter, ma il titolo della società è crollato in Borsa. Nell’enclave tecnocratica della Silicon Valley, l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha colpito come un fulmine più violento che altrove. La Valley tendenzialmente liberal, decisamente tecno-ottimista e culturalmente aperta alla diversity trema alla sola idea di avere a che fare con un presidente poco avvezzo alla tecnologia (almeno fino al 2007 Trump non ha mai posseduto un computer e durante un dibattito ha trattato il tema della minacce digitali usando il termine “cyber”, che da solo è praticamente insensato), tecno-sospettoso e sostenuto da un elettorato che vede la diversity come fumo negli occhi.

 

Per la Valley, che fino all’ultimo ha tentato di tenersi fuori dalla campagna elettorale peggiore degli ultimi decenni per poi pentirsene quando ormai era troppo tardi, la vittoria di Trump costituisce due brutte batoste, come ha notato Farhad Manjoo sul New York Times. La prima riguarda il fatto che i grandi ceo si sentivano ormai il cuore tecnologico pulsante del governo: negli otto anni dell’Amministrazione Obama le porte girevoli tra la Bay Area e Washington avevano vorticato all’impazzata, e Obama è stato il primo presidente che per molti versi ha abbracciato la visione del mondo progressista e nerd dei signori del tech. Il culmine di questo rapporto sempre più simbiotico era arrivato con le voci sul fatto che Hillary Clinton avrebbe potuto offrire a Sheryl Sandberg di Facebook il posto di segretario del Tesoro. Con Trump, è facile prevederlo, le porte girevoli si fermeranno, con poche eccezioni (vedi Peter Thiel, l’unico grande sostenitore del candidato repubblicano in tutta la Valley), e le cene dei ceo alla Casa Bianca trumpiana, se mai ci saranno, avranno un tono più sommesso.

 

La seconda batosta, più teorica ma forse di maggior portata, riguarda il fatto che la Silicon Valley era convinta di essere il cuore tecnologico pulsante di tutta la società americana. Convinta del fatto che il paese intero vedesse di buon occhio ed entro una certa misura condividesse la sua cavalcata tra miliardi di dollari e sfide tecnologiche sempre più futuristiche, che comprendesse perché è necessario investire montagne di denaro in grandi occhialoni per la realtà virtuale, che l’America, insomma, fosse tutta una fila di utenti giulivi che aspettano l’uscita del nuovo iPhone accampati fuori da un Apple Store. Alle elezioni, invece, si è palesata un’America sospettosa quando non apertamente contraria della visione del mondo aperta al cambiamento tecnologico e sociale espresso dall’élite tech – la quale, in quanto élite, è doppiamente disprezzata dai trumpiani puri.

 

Come mostra il rimbalzo positivo dei mercati, forse anche le politiche economiche a favore dell’imprenditorialità promesse da Trump potrebbero giovare alla Valley. Ma è certo che, da candidato, Trump non ha mai espresso simpatia per i signori tech. Nel corso dei mesi ha annunciato che avrebbe costretto Apple a riportare la produzione degli iPhone negli Stati Uniti e ha invitato al boicottaggio dei prodotti della compagnia dopo le polemiche su sorveglianza e privacy. Ha inoltre promesso che avrebbe fatto aprire una grande indagine dell’antitrust contro Amazon. E’ per questo che il titolo della compagnia è crollato in Borsa, nonostante i tentativi di apertura di Jeff Bezos.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.