(foto LaPresse)

Per l'Italia, il dopo Trump passa dal gas russo

Leonardo Bellodi
Perché la politica energetica dell’Europa non deve essere influenzata dai paesi baltici.

Tra il 1589 e il 1594, Shakespeare scriveva la commedia degli equivoci, una piece che narra di litigi, seduzioni, incomprensioni, scambi di accuse e ammiccamenti. Una commedia che ben descrive il rapporto di 500 anni dopo tra l’Unione Europea e la Russia. La crisi della Crimea non è che l’ultimo atto di una relazione caratterizzato da profonde contraddizioni. Da un lato, paesi UE che un tempo facevano parte dell’Unione Sovietica o gravitavano nella sua orbita condizionano pesantemente la politica estera europea facendo adottare posizioni anti russe e chiedendo a voce l’affrancamento dalla dipendenza energetica dal gas russo. Dall’altro, la Germania non ha mai tagliato i ponti politico-commerciali con Mosca. La Signora May, nuovo primo ministro britannico, ha parlato al telefono con Putin promettendo una visita in Russia e il nostro primo ministro, Matteo Renzi, ha sollevato più di qualche perplessità nel momento in cui l’Unione Europea era in procinto di rinnovare le sanzioni contro la Russia.

 

Malgrado queste prese di posizione, Bruxelles e le istituzioni europee sono fermamente animate da un sentimento anti russo. Ce lo possiamo permettere da un punto di vista polita ed energetico? Siamo in grado di sostituirci alla Russia per ciò che rappresenta in Ucraina? E soprattutto ci conviene? In sintesi, la risposta è negativa per tutte e tre le domande. Dal punto di vista dell’ordine mondiale, appare chiaro che il ruolo della Russia è imprescindibile nella lotta al terrorismo internazionale, nella risoluzione della crisi siriana e al contrasto del fenomeno Daesh. Dal momento che la Russia dispone di un diritto di veto all’Onu, un persistente contrasto blocca di fatto qualsiasi azione multilaterale costringendo gli stati ad intervenire in determinate situazioni di crisi internazionale al di fuori del mandato Onu e dunque in violazione del diritto internazionale con effetti domino.

 

Dal punto energetico poi, Bruxelles chiede da anni di ridurre la dipendenza dall’Europa dal gas russo. Peccato che nel periodo 2014-2016 sia avvenuto esattamente il contrario e stiamo assistendo a un aumento in percentuale delle importazioni di gas dalla Russia. Il rapido e per certi versi inaspettato esaurimento di alcuni giacimenti di gas in Europa, la perdita di redditività di alcuni giacimenti più costosi (come quelli nel Mare del nord), portano a una diminuzione ineluttabile della produzione domestica europea che deve essere compensata da maggiori importazioni. Non possiamo contare totalmente sul gas Libico per ovvie ragioni e anche le esportazioni dall’Algeria non possono aumentare più di tanto stante un consumo domestico che sta aumentando in modo vertiginoso in quel paese. In questo momento, volenti o nolenti, il gas russo è il più abbondante e tra i meno costosi. 

 

Vi è un’ulteriore variabile da tenere in considerazione. Il gas russo che arriva in Europa transita in gran parte per l’Ucraina che riceve come compenso per il passaggio del proprio territorio circa 2 miliardi di dollari all’anno. Qualora l’Europa facesse a meno del gas russo, l’Ucraina si troverebbe senza un’importante voce (attiva) del proprio bilancio statale. E sono in molti a dubitare che l’Europa troverebbe i fondi e la coesione necessaria per ripianare tale perdita. Senza contare il fatto che sostituire il gas russo implicherebbe in molti casi ingaggiare la Turchia come paese di transito che diventerebbe essenziale per la sicurezza degli approvvigionamenti energetici europei, una scelta da valutare attentamente in considerazione della situazione politica in quella regione. Naturalmente, tutte queste valutazioni di real politic non implicano che l’Europa non debba chiedere a gran voce alla Russia di rispettare la rule of law e il diritto internazionale o che non debba cercare diverse fonti di approvvigionamento energetico e di transito.

 

Da questo punto di vista l’approccio italiano al dilemma russo pare di buon senso. Tiene un canale politico aperto chiedendo agli altri stati membri di riflettere sulla efficacia e utilità delle sanzioni e dall’altro sta creando le condizioni per diversificare le rotte di approvvigionamento energetico promuovendo l’importazione dalla regione del Caspio. La revisione del titolo V della Costituzione, che prevedendo la competenza di Stato e regione in materia energetica di fatto blocca molti progetti ed è oggetto del referendum, è un passo fondamentale in questa direzione. Un approccio che è diventato ancor più attuale all’indomani dell’inaspettata vittoria di Donald Trump. Nel corso della sua campagna elettorale, infatti, il neo presidente non ha mai fatto mistero di nutrire una qualche ammirazione per Vladimir Putin e di voler riconsiderare la politica americana nei confronti della Russia. Un sentimento ricambiato; poche ore prima dell’apertura dei seggi negli Stati Uniti, il quotidiano Komsomolskaya Prvavda scriveva “Clinton circonderà la Russia con i missili nucleari, Trump riconoscerà a Crimea”. E Putin è stato uno dei primi leader internazionali a congratularsi ieri con Trump con un telegramma con il quale auspicava che Russia e Stati Uniti cooperino per garantire sicurezza e stabilità internazionale.

 

Certo, tutto ciò che viene promesso in campagna elettorale non viene sempre tradotto in azioni concrete e non è scontato che Trump possa modificare radicalmente e in tempi brevi il corso politico americano nei confronti della Russia dal momento che questa è espressione di un accordo bipartisan al Congresso americano condiviso da repubblicani e democratici. Ma nel marzo del prossimo anno scadranno le sanzioni americane che sono state adottate per la maggior parte con un executive orders, cioè atti del Presidente. Trump potrà deciderle se rinnovarle o meno così come potrà dettare l’atteggiamento del Dipartimento di Stato nei confronti della Russia (e di Siria e Libia visto che ci siamo). Se la linea politica dell’Unione Europea sarà ancora pesantemente influenzata dai paesi baltici e dell’ex Urss, che esprimono intransigenza rispetto a tutto ciò che è deciso a Mosca, noi europei rischiamo di essere ancora più isolati e ai margini delle grandi partite internazionali che vedono la Russia giocare un ruolo primario. Facciamo in modo che non sia Trump l’unico ad averlo capito.

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