La responsabile di un seggio a New York, prima del voto (foto LaPresse)

I due elettori tipo al setaccio delle neuroscienze che tanto spiegano ma poco risolvono

Gilberto Corbellini
Ciò in cui crediamo è il risultato di come pensiamo. E come pensiamo dipende dall’anatomia e dalla fisiologia del nostro cervello individuale. Questo vale per tutto. Inclusa la politica.

Ciò in cui crediamo è il risultato di come pensiamo. E come pensiamo dipende dall’anatomia e dalla fisiologia del nostro cervello individuale. Questo vale per tutto. Inclusa la politica. Precisamente dieci anni fa, lo psicologo della Emory University e oggi consulente strategico del Partito democratico, Drew Westen, pubblicava il primo studio che dimostrava l’attivazione di specifiche strutture nervose in individui, repubblicani e democratici, esposti a palesi affermazioni false o contraddittorie di George W. Bush o di John Kerry. I soggetti dell’esperimento, messi di fronte a dichiarazioni indifendibili sul piano razionale, silenziavano le strutture nervose deputate a una valutazione logico-razionale di quei contenuti, che ne avrebbero rilevato falsità e contraddizioni nel proprio candidato, e attivavano le strutture emotive, per ragionare in modi fuorvianti ma motivati dallo scopo di giustificare o sopprimere falsità e contraddizioni.

 

Westen, che ha scritto un libro sull’argomento (“La mente politica. Il ruolo delle emozioni nel destino di una nazione”, Il Saggiatore, 2008), aveva scoperto che il cervello politico dei militanti, repubblicani o democratici, quando si trova di fronte al proprio campione, non ragiona più sui fatti. Pensando a quanto sono improbabili, bugiardi e contraddittori i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti, servono motivazioni forti, su diversi piani, per votarli. Mutatis mutandis qualcosa di analogo di potrebbe dire per il nostro referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre.

 

La questione che Westen non affrontava è se esistono differenze neurologiche individuali che producono i due orientamenti politici radicati in occidente, cioè destra vs. sinistra o progressisti vs. conservatori. In altre parole, il cervello di una persona di sinistra è diverso da quello di una persona di destra? La risposta è sì. Centinaia gli studi concordano nel trovare che alcune strutture nervose sono anatomicamente diverse e funzionano in modi differenti nei conservatori e nei progressisti.

 

I tratti psicologico-comportamentali o i diversi modi di pensare di progressisti e conservatori, in particolare la disponibilità vs. la resistenza ai cambiamenti sociali (sfidare o mantenere le tradizioni?) e il rifiuto vs. l’accettazione delle diseguaglianze (abbattere o conservare le gerarchie sociali?), o in altre parole i diversi atteggiamenti verso lo status quo che i conservatori giustificano e vogliono mantenere, e che i progressisti vogliono cambiare, sono stati collegati a differenze in strutture e sottostrutture quali amigdala, insula, corteccia cingolata, corteccia prefrontale, striato e giunzione temporo-parietale. Sono regioni e sottoregioni implicate nella regolazione del comportamento sociale che, attraverso diversi modi di attivarsi, danno luogo ai due sistemi di valori che costituiscono la sostanza ideologica del confronto politico in occidente; ovvero che spiegano come mai chi si definisce di destra preferisce la stabilità, il dovere e l’ordine, ha un forte senso di appartenenza al gruppo e reagisce con senso di disgusto rispetto a quello che non rientra nella tradizione o in un presunto ordine allo stesso tempo naturale e morale (omosessualità per esempio), mentre chi si sente di sinistra è più flessibile, aperto ai cambiamento, alla diversità, e al compromesso, e meno predisposto a reazioni di disgusto di fronte situazioni che sfidano un presunto ordine morale/naturale. Le differenze di atteggiamenti si possono riscontrare già nei bambini, dove l’intolleranza per l’ambiguità, l’incertezza e la complessità, associati a una maggiore sensibilità per la paura, la minaccia e il pericolo sono predittivi di un orientamento conservatore nell’età adulta.

 

Eleganti studi distinguono liberal da conservatori nella misura in cui rilevano nelle persone diversi bisogni psicologici, da una parte l’interesse per l’incertezza, l’ambiguità e la complessità, dall’altra il bisogno di ordine, chiusura e semplicità. Altri esperimenti evidenziano le diverse risposte a stimoli razziali. Le ricerche volte a identificate nelle differenze neuroanatomiche o fisiologiche dei cervelli l’origine delle diversità ideologiche trovano che sottostrutture dell’amigdala e della corteccia cingolata anteriore hanno volumi e composizioni di materia grigia diverse nei conservatori, rispetto ai progressisti. Alcuni studi hanno anche rilevato una connettività maggiore tra alcune aree nei liberal, che starebbe a indicare un sistema neurocognitivo più integrato e quindi in grado di monitorare più efficacemente gli stimoli ambientali e soprattutto di controllare meglio gli impulsi emotivi conflittuali che si manifestano in situazioni di incertezza e cambiamento.

 

Quali lezioni si possono trarre da queste scoperte? Spiegano moltissimi fatti della politica, e vendicano Aristotele e tutti pensatori che l’hanno studiata con un approccio naturalistico. Ma la loro utilità per disegnare una migliore convivenza sociale è probabilmente irrilevante.