Manifestanti al Cairo contro Sisi (foto LaPresse)

Così l'Egitto implode, tra (in)stabilità e sussidi

Eugenio Cau
Crisi economica, beni che scarseggiano e riforme mai fatte. Sisi ha bisogno urgente di soldi per evitare l'implosione

Roma. La Banca centrale dell’Egitto giovedì mattina ha lasciato fluttuare sui mercati la sterlina egiziana per la prima volta dopo anni di rigido controllo della valuta da parte dello stato. La valuta è crollata immediatamente, passando da 8,88 sterline egiziane per dollaro a circa 14, ma la Borsa del Cairo ha fatto un balzo impressionante positivo, di circa l’8 per cento, segno che i mercati hanno accolto la notizia con favore. La decisione di liberalizzare la valuta è una delle più importanti riforme economiche richieste dal Fondo monetario internazionale per concedere un prestito di 12 miliardi di dollari pendente da mesi, e di cui l’economia egiziana ha disperatamente bisogno.

 

Al momento della sua ascesa al potere, grazie a un colpo di stato militare circa tre anni fa, il generale Abdel Fattah al Sisi aveva annunciato che il suo paese era “open for business”. Aveva ripetuto le sue offerte l’anno scorso, durante una grande conferenza a Sharm el Sheikh per rilanciare l’economia. Ma oggi le speranze e le opportunità sembrano sfumate. L’economia egiziana è in recessione cronica, con un’inflazione al 15 per cento (è destinata a crescere dopo la mossa di giovedì), un deficit commerciale importante e un deficit di bilancio superiore al 12 per cento del pil. La disoccupazione giovanile ha superato il 40 per cento della popolazione, che vive in gran parte di sussidi ormai insostenibili per le casse dello stato, le cui riserve di valuta sono preoccupantemente basse. Nei supermercati del Cairo, alcuni generi di prima necessità fortemente sussidiati, come la farina e lo zucchero, hanno già iniziato a scarseggiare.

 

Anziché affrontare i problemi dell’economia con riforme dure ma necessarie, aggredendo una burocrazia incancrenita e una corruzione capillare, Sisi per ora ha concentrato la sua azione su opere magniloquenti e di alto valore propagandistico, come l’estensione del canale di Suez, che però non hanno ancora portato maggiori introiti nelle casse dello stato. Sisi giustifica la sua inazione economica con il timore che gli effetti immediati delle riforme possano provocare instabilità in un paese che dalle primavere arabe del 2011 ha conosciuto due rovesciamenti di regime e infinite violenze – è la stessa ragione con cui il presidente egiziano giustifica una repressione dei diritti umani che ormai, per molti analisti, ha superato quella del vecchio rais, Hosni Mubarak. La svalutazione della moneta decisa giovedì, per esempio, porterà quasi sicuramente a un ulteriore aumento dei prezzi dei generi di prima necessità. Tra le altre misure richieste dal Fmi c’è inoltre la fine dei sussidi sul prezzo del carburante, altra iniziativa che rischia di generare scontento sociale.

 

Ignorando i problemi, tuttavia, Sisi ha portato l’Egitto sull’orlo dell’implosione – e anche nel perseguimento della stabilità interna finora non ha avuto successo: i ripetuti attacchi terroristici subìti dal paese negli ultimi anni da parte di gruppi islamisti hanno messo in ginocchio l’industria del turismo. Il prestito del Fmi, che sarebbe tra le altre cose un segnale di rinnovata fiducia per gli investitori internazionali, è diventato sempre più urgente dopo il raffreddamento dei rapporti tra l’Egitto e i suoi tradizionali sostenitori esteri. Negli ultimi due anni l’Arabia Saudita ha praticamente tenuto in piedi l’economia del Cairo con prestiti pari a più di 25 miliardi di dollari, ma le relazioni tra i due paesi si stanno degradando velocemente. Il mese scorso l’Egitto ha votato a favore di una risoluzione Onu sulla guerra siriana promossa dalla Russia e vista dai sauditi come un tradimento da parte del Cairo. Riad ha richiamato l’ambasciatore per qualche settimana, e la compagnia petrolifera di stato, Aramco, ha posticipato a data da destinarsi la consegna all’Egitto di 700 mila tonnellate di petrolio a prezzo di favore. L’Egitto è un alleato fondamentale anche per l’occidente, e riceve 1,3 miliardi all’anno in aiuti militari da Washington, ma le simpatie di Sisi per l’asse russo-siriano e l’atteggiamento da free rider del Cairo nella crisi libica hanno ridotto di molto la fiducia riposta nel governo egiziano.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.