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“Charlie non c'è più”. Intervista a Rhazoui, l'ultima giornalista a lasciare

Giulio Meotti
Ora irride tutto tranne che l’islam: “Siamo ostaggi della paura di criticare la religione da cui anche io provengo. L’islam politico è una forma di fascismo cresciuto in seno alla religione. Ha tutte le caratteristiche del fascismo, dall’uniformità persino nel parlare al culto della personalità alla negazione dell’arte e della ricerca intellettuale", dice la scrittrice.

Roma. Lo sconforto per cosa è diventato Charlie Hebdo è contenuto in questa frase di Marika Bret, redattrice del settimanale satirico francese: “Dall’Italia ci arrivano tante minacce”. Il riferimento non è a qualche cellula jihadista, ma alla copertina in cui Charlie ha irriso il terremoto ad Amatrice. Il settimanale si sta normalizzando. Basta prendere la penultima copertina. Contro gli islamisti? Contro la gauche? No, contro Eric Zemmour, il giornalista “reazionario” del Figaro. Laurent Sourisseau in arte “Riss”, il direttore di Charlie, lo ha messo in copertina con il giubbotto esplosivo.

 

Riss ha appena pubblicato un libro dedicato a un altro piatto forte dei benpensanti: Marine Le Pen. In copertina la leader della destra agghindata come Marilyn Monroe. Il “volto oscuro” di Marine. Già per l’anniversario della strage del 7 gennaio, il settimanale diretto da Riss era uscito con una copertina non su Maometto, ma su un Dio giudeo-cristiano, il “killer” uno e trino a piede libero. D’altronde, sia il direttore Riss sia il disegnatore Luz avevano annunciato: “Non disegneremo più Maometto”. Molto meglio scegliere bersagli più provvidi di applausi, come “Marine Monroe”. “Il trapianto che funziona peggio è il trapianto di palle”: così Riss era stato schernito da Jeannette Bougrab, la compagna del compianto direttore Stéphane Charbonnier.

 


Laurent Sourisseau (immagine di Wikipedia)


 

La svolta normalizzatrice di Charlie si riflette anche nella decisione drammatica di mettere fine al rapporto di lavoro con un’altra sopravvissuta alla mattanza, la giornalista e intellettuale franco-tunisina Zineb el Rhazoui, che per la sua critica all’islam si muove con una scorta di sei agenti. “Il giornale non è più lo stesso, Charlie oggi è in preda a un soffocamento artistico ed editoriale”, ha detto al Monde Zineb el Rhazoui, autrice del nuovo libro “Détruire le fascisme islamique” (edizioni Ring). Rhazoui è stata appena a New York a ritirare un premio, dove ha rilasciato una intervista al New York Times sempre protetta, come a Parigi, dagli agenti di polizia. “Charlie non è più lo stesso, i migliori di noi sono morti”, ha detto la scrittrice al Point. Dopo le dimissioni dei vignettisti Luz e Patrick Pelloux arrivano anche quelle dell’unica giornalista araba della redazione. “Dobbiamo continuare a ritrarre Maometto e Charlie non lo sta facendo, significa che non c’è più Charlie”, aveva detto Patrick Pelloux.

 


Zineb el Rhazoui (immagine di Youtube)


 

“Non possiamo combattere una ideologia che non nominiamo”, racconta al Foglio Zineb el Rhazoui parlando del suo libro. “Siamo ostaggi della paura di criticare l’islam, da cui anche io provengo. L’islam politico è una forma di fascismo cresciuto in seno alla religione. Ha tutte le caratteristiche del fascismo, dall’uniformità persino nel parlare al culto della personalità alla negazione dell’arte e della ricerca intellettuale. I fondamentalisti nelle nostre società stanno acquisendo una visibilità che li porterà alla guerra. Vogliono unire la umma, la comunità dei fedeli islamici, e in Europa non lo possono fare democraticamente, ma con il terrorismo, come in Francia, o attraverso la normalizzazione dell’islamismo che avviene ovunque in Europa. Dobbiamo considerare i musulmani non come una comunità, ma come individui con gli stessi diritti e doveri di tutti gli altri, combattendo l’ideologia che li porta alla guerra”.

 

Rhazoui ci spiega perché ha lasciato Charlie. “Ho lasciato il giornale per una ragione editoriale: anche prima del massacro, Charlie aveva prodotto soltanto poche copertine sull’islam, il resto sulla politica, la cultura, l’informazione. Ma i miei colleghi sono stati uccisi e non ho preso io la decisione di non pubblicare più Maometto. Avremmo dovuto farlo prima che tutta quella gente venisse uccisa. Farlo dopo per me è troppo. Ora abbiamo il dovere di continuare a spiegare per cosa i nostri colleghi sono stati ammazzati. Io non mi arrenderò, è una questione di dignità, siamo tutti minacciati, io vivo con una scorta, ma la gente in Europa è tutta in pericolo. C’è questa ansia collettiva europea che non nasce da una vignetta, ma da un mostro che è in guerra contro tutti noi”. Ma, per citare il Maometto in copertina dopo la strage, tutto sembra essere stato davvero perdonato.

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  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.