Discorso del primo ministro greco Alexis Tsipras in Parlamento ad Atene (foto LaPresse)

Perché è iniziata (senza clamori) la riabilitazione politica della Grecia

Alberto Brambilla
Quest’anno Atene è tornata a ricevere buone notizie dal punto di vista soprattutto politico. La Brexit e il fallito golpe turco hanno contribuito a restituire importanza (e fiducia). Anche grazie alla “cura Troika”.

Roma. Un anno fa di questi tempi faceva notizia l’arroganza della potenza egomone tedesca che voleva spingere fuori dall’euro un’Ellade che non aveva saputo riconoscere il segno dei tempi. Il governo di sinistra radicale di Alexis Tsipras aveva appena tradito – in nome della democrazia – la volontà popolare accettando la necessaria convergenza verso riforme strutturali e privatizzazioni, sotto monitoraggio della Troika, anziché assecondare il risultato del referendum e divincolarsi dal ricatto tecnocratico brussellese. Dopo gli sterminati contributi letterari degli ultimi cinque anni e relativi drammi estivi, quest’anno la Grecia è tornata a ricevere buone notizie dal punto di vista soprattutto politico – la situazione economica resta infatti complicata: alla fine del 2015 244.700 piccole e medie attività sono fallite e altre seguiranno nei prossimi mesi.

 

A fine luglio, però, è stata annunciata la fine graduale dei controlli sulla circolazione di capitali, dopo tredici mesi di vincoli stringenti, anche sui prelievi, per far riaffluire gli investimenti nel paese. Il ministro delle Finanze, Euclid Tsakalotos, stima che 3-4 miliardi di euro potrebbero rientrare presto nei forzieri bancari dopo una fuga di depositi da 30 miliardi sperimentata un anno fa quand’era in discussione il terzo soccorso internazionale per la Grecia. L’agenzia di rating americana Standard & Poor’s ha di conseguenza migliorato il rating di quattro banche (Alpha, Eurobank, National e Piraeus Bank) da “default selettivo” – incapacità di rimborsare certi titoli – a CCC+ – rischio sostanziale – segnalando un cauto ottimismo sulla convalescenza del sistema bancario ellenico. Eventi concomitanti e potenze esterne sono stati determinanti.

 

Dopo il voto degli inglesi a favore della Brexit, gli analisti sono tornati a pensare ad Atene cercando indizi sulla prossima economia che lascerà l’Europa. All’indomani del fallito tentativo di golpe in Turchia il rischio di un approccio muscolare del presidente Recep Erdogan verso i vicini ha preoccupato gli Stati Uniti. Il segretario al Tesoro americano, Jack Lew, ha incontrato il ministro delle Finanze greco ad Atene per discutere i progressi in corso della legislazione sul lavoro, la revisione del sistema pensionistico e la vendita di asset pubblici. Lo sconvolgimento geopolitico nella regione era considerato da Lew l’occasione per cambiare il clima di ostilità, emerso soprattutto in Germania, verso un rilassamento del debito greco perché “è la cosa giusta da fare”, ha detto al Financial Times: è il momento in cui va rafforzato il “futuro fiscale” della Grecia anche per la sua posizione rilevante nello scacchiere dell’area.

 

Sempre in seguito al fallito golpe turco, e un successivo riavvicinamento tra Ankara e Mosca per resuscitare il gasdotto Turkstream, l’inviato speciale per la politica energetica americana Amos Hochstein  è volato ad Atene e ha detto al quotidiano Kathimerini che “la Grecia può essere la porta di ingresso per il gas naturale in arrivo in Europa dagli Stati Uniti e dal Mediterraneo orientale, giocando un ruolo significativo nella sfida per la sicurezza energetica”. Un’ispezione interna del Fondo monetario internazionale, diretto da Christine Lagarde, ha rivelato che l’approccio alla crisi dei debiti sovrani europei, verso Atene in particolare, era viziato da pressioni politiche nell’Eurozona e non motivato da calcoli tecnici. Un mea culpa che rafforza l’importante e recente cambio di postura del Fmi e mette pressione sulla Germania affinché si giunga a un’operazione di ristrutturazione dei debiti dei paesi europei su larga scala anziché replicare il modus operandi greco dei salvataggi infiniti. Atene è tornata in gioco, senza clamori.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.