una donna con un cartello e la fotografia di Jo Cox durante una commemorazione a Trafalgar Square, Londra (foto LaPresse)

Ciò che di Jo Cox non vi diranno. Vedi il suo anti-pacifismo

Paola Peduzzi
Prima di essere uccisa, Jo Cox stava lavorando a un paper da pubbliocare in concomitanza con il report Chilcot. Oggi non bisogna tacere: gli effetti dell'Iraq Inquiry non riguardano solo Tony Blair ma la politica estera di un paese intero.

Milano. Prima di essere uccisa da un nazionalista “Britain first” con problemi mentali, Jo Cox stava lavorando a un paper sulla politica estera britannica. La pubblicazione di questo documento era prevista in concomitanza con il report Chilcot sulla guerra in Iraq, ma dopo l’assassinio della parlamentare laburista – il 17 giugno – il suo collega e correlatore, Tom Tugendhat, l’ha rimandata. Tugendhat è un parlamentare conservatore, è stato eletto nel 2015, prima lavorava nell’esercito: era di stanza in Iraq quando, nel 2003, l’invasione fu annunciata. Ha raccontato, in un intervento applauditissimo sulla Bbc che allora era “terrorizzato” e che oggi ha appreso con grande preoccupazione il fatto – raccontato nel report Chilcot – che molti generali e diplomatici, terrorizzati quanto lui, fossero rimasti in silenzio di fronte alle tante incertezze, strategiche e tattiche, sulla guerra. Proprio quando erano necessarie voci, analisi, suggerimenti, molti non dissero nulla. Oggi non bisogna tacere, dice Tugendhat: gli effetti di Chilcot non riguardano soltanto il premier di allora Tony Blair e la sua leadership, riguardano la visione di politica estera di un paese intero.

 

La Cox e Tugendhat erano contro la guerra in Iraq per ragioni diverse: lei era preoccupata per l’impatto umanitario della guerra in termini di morti civili, lui pensava che fosse un errore strategico enorme e senza motivo, oltre al fatto che l’esercito non fosse preparato. Hanno lavorato insieme da aprile per arrivare a una conclusione comune: “Nessuno di noi due – ha scritto Tugendhat sul Times – pensa che la risposta a Chilcot sia di non agire mai più in un paese straniero. Assistiamo alla sofferenza del popolo siriano e siamo convinti che c’è uno spazio per il Regno Unito per agire in nome della responsabilità che abbiamo nel proteggere gli altri popoli. So che le esperienze di Jo Cox in Bosnia e in Ruanda, dove Londra e la comunità internazionale fecero un passo indietro quando centinaia di migliaia di civili venivano uccisi, hanno forgiato il suo pensiero”.

 

Nel suo appuntamento domenicale sull’Observer, Andrew Rawnsley ha spiegato che la questione irachena non ha avuto un effetto soltanto su Blair, ma sull’idea del New Labour stesso, che raccoglieva un elettorato progressista e liberale che oggi non trova più rappresentanza. L’effetto sull’Europa è evidente: Blair tentò di allentare la politica isolazionista del Regno Unito nel continente, ma ora il suo partito è scettico nei confronti di Bruxelles e con la leadership di Jeremy Corbyn è in ritiro dal resto del mondo. Con la guerra in Iraq e il revival Chilcot, le ripercussioni sulla politica estera sono amplificate e in questo momento di vuoto di leadership a Londra la tentazione di far rientrare ogni intervento internazionale nella “lezione irachena” è alta. Ma come dice Tugendhat, riprendendo il pensiero di Jo Cox, “il nostro punto di partenza era che, se certo il Regno Unito deve imparare dalla dolorosa lezione irachena, non dobbiamo però lasciare che il pendolo finisca su un isolazionismo di riflesso, su un pacifismo ideologico e su un anti interventismo dottrinale”.

 

Contrastare questo riflesso non sarà semplice: ieri Angela Eagle ha annunciato la sua candidatura di sfida a Corbyn per la leadership del Labour, ma molti sostengono che non è adatta al ruolo perché votò a favore della missione irachena. Mentre lei cerca di non farsi incastrare dalle etichette – “non sono una blairiana, non sono una browniana, non sono una corbynista, sono ‘my own woman’”, ha detto, e batterò alle elezioni l’altra donna, Theresa May, leader da ieri dei conservatori, “perché lei è una Tory” – Hilary Benn, ex ministro degli Esteri ombra in rotta con Corbyn, le ha dato il suo appoggio. Benn è uno dei pochi politici laburisti ancora su piazza che lavorano per elaborare una politica estera di sinistra che non sia prona a un non interventismo ideologico.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi