Matteo Renzi e il presidente iraniano Hassan Rouhani (foto La Presse)

Quant'è ipocrita la passerella a Teheran vista da una dissidente

Cynthia Martens
Sul viaggio di Renzi a Teheran: “Se dal mio paese vedono che Roma si spinge a nascondere le sue statue per non offendere Rohani, quanta fiducia potranno avere nei vostri richiami sui diritti umani”. La diplomazia letta con le lenti di un’esule canadese che anima la resistenza all’estero.

Parigi. Elham Zanjani non è mai stata in Iran. I suoi genitori hanno lasciato il loro paese di origine negli anni 70 e lei è nata a Montréal nel 1978 per poi crescere a Toronto. Anche se Zanjani parla con affetto del suo Canada, da ragazza la sua consapevolezza che in un paese lontano, le cugine che non aveva mai incontrato avevano una vita totalmente diversa dalla sua, la turbava molto. “Ce l’hai sempre presente, nei recessi della mente – dice in questa intervista al Foglio – Com’è possibile che io sia cresciuta in un posto dove potevo fare sport, potevo nuotare, potevo pensare liberamente, andare al centro commerciale, ascoltare la musica, mangiare quel che volevo e iniziare a costruire il futuro che più mi era congeniale, e invece le mie cugine, che avevano la stessa mia età, non avevano gli stessi diritti?”, continua spiegando che loro dovevano indossare i chador neri e coprenti. Il contatto con i cari in Iran era sempre limitato, per via del monitoraggio costante dei telefoni da parte del regime.

 

La cicatrice di Camp Ashraf

 

La preoccupazione di Zanjani per i suoi parenti si trasformò nel desiderio di lavorare con la resistenza iraniana. Da studentessa universitaria in Canada, si era interessata alla fisioterapia, ma invece di finire il suo programma di studio, lasciò tutto per Camp Ashraf, una piccola città in Iraq vicino al confine con l’Iran, controllata dai mujaheddin del popolo, dove molti rifugiati politici ed ex prigionieri iraniani erano andati a vivere. Inizialmente pensava di fermarsi poco lì, ma finì per rimanerci ben oltre dieci anni, lavorando in ospedale e mettendo a frutto le sue competenze linguistiche come interprete (oltre all’inglese, parla francese, persiano e un po’ di arabo). “Ho potuto perfezionare il mio persiano, e ho potuto capire molto meglio le mie origini”, ricorda. Una vita relativamente tranquilla ad Ashraf volse al peggio dopo il ritiro delle forze americane dall’Iraq: i residenti della città cominciarono a subire diversi atti di violenza da parte delle forze irachene, sotto l’autorità del premier Nouri al Maliki, simpatizzante con il regime iraniano. Zanjani fu colpita in pieno da una granata. Ad Ashraf, era difficile ottenere le cure necessarie per le sue ferite gravi alle braccia e alle gambe, quindi finì per tornare in Canada, dove si è ripresa. Oggi, Zanjani continua a viaggiare tra il Canada e l’Europa, e lavora con il gruppo dissidente autonomo il Consiglio nazionale della resistenza iraniana (Ncri) – che ha una sede a Parigi – dedicandosi al comitato delle donne.

 

Dalla capitale francese, Zanjani ci dice che “la percezione generale in occidente è quella di una grande moderazione in Iran. C’è quest’idea che la situazione è cambiata, che le porte si sono aperte per i rapporti economici, e le porte si sono aperte per il turismo. E purtroppo quel che succede veramente viene trascurato perché ci sono tutti questi interessi. Dicono che Rohani sia un moderato, ma è il presidente che ha permesso il più alto numero di esecuzioni. E i diritti delle donne si sono deteriorati drasticamente… C’è un aumento di violazioni di diritti umani, ma tutti stanno chiudendo gli occhi per non vedere ciò che succede”. La dissidente commenta la scelta degli italiani di coprire le statue dei Musei Capitolini a Roma prima della visita di Rohani: “In primo luogo, non avrebbero dovuto invitarlo. Perché se i paesi democratici credono nei valori democratici, e se accettano le convenzioni contro l’esecuzione, le convenzioni dei diritti umani, allora dovrebbero dire al regime – avrebbero dovuto dire al regime – che se volete venire qui, o se volete costruire rapporti internazionali, allora ci dovrebbe essere una condizione sul piatto. Cioè, basta esecuzioni, e correggete la situazione dei diritti umani in Iran. E poi, se avete del business sul piatto della bilancia, apriremo le porte e vi inviteremo. Quando questo non succede, allora tutti si stanno arrendendo”.
Il presidente del Consiglio italiano è stato, in queste ore, il primo leader occidentale a visitare Teheran dopo la fine delle sanzioni: “Il discorso delle statue in Italia, quando metti da parte il suo aspetto buffo, il suo aspetto ridicolo, allora per il popolo iraniano diventa solo un segnale che per via di interessi economici, l’occidente è disposto a tradire i propri valori umanitari e le proprie convinzioni riguardo i diritti umani. E anche le proprie credenze culturali. Quando gli italiani decidono di coprire la propria storia perché viene questa persona ridicola, allora come possiamo credere che quegli italiani difenderanno i valori dei diritti umani?”.

 


Donne iraniane (foto LaPresse)


 

“Il velo della Mogherini è diverso dal mio”
Quando le rappresentanti diplomatiche dell’occidente vanno in Iran e indossano il velo, che messaggio inviano alle donne iraniane? “E’ un insulto. Un insulto alle donne iraniane. E’ come dire: ‘Prego, andate avanti così a opprimere le donne. Le donne qui non hanno diritti? Nessun problema’. Le donne sono sempre le più vulnerabili. E questo viene tollerato, purtroppo. L’ulteriore aspetto negativo è che la gente dirà che si tratta di cultura, che le donne dell’Iran, culturalmente o storicamente, devono mettersi il velo e questo è quanto. Ma questo non è affatto vero: le donne in Iran sono diventate all’improvviso cittadine di seconda classe dopo la Rivoluzione iraniana. Da lì in poi, le donne non potevano più viaggiare. Non potevano avere l’affidamento dei minori. Tutto è cambiato. Mi capitava di guardare le foto di mia madre da giovane, e lei aveva adottato questo stile anni 60, con la minigonna e tutto il resto. Poi, all’improvviso, è arrivato il velo scuro. Chiesi a mia madre, ‘Che cos’è tutto questo?’ E lei non sapeva spiegarmelo perché era tutto il contrario di quello che era stato l’Iran fino a quel momento. L’ipocrisia è grandissima. Noi crediamo che ogni donna debba avere il diritto di indossare ciò che vuole”.

 

Zanjani però indossa un velo, anche se adesso vive fuori dalla giurisdizione della teocrazia islamica. Le chiediamo di spiegarci le ragioni di questa apparente incongruenza: “Non lo mettevo mai, prima. Voglio dire, la mia famiglia non se lo mette. Mia madre, mia sorella, non se lo mettono. Ma io ho deciso di indossarlo intanto perché ci credo, e questa è una scelta personale, ma anche perché abbiamo a che fare con il regime iraniano, un regime che ha utilizzato l’islam nel modo più sbagliato, con la visione assolutamente sbagliata dell’islam, una visione fondamentalista. Io credo che con questo foulard posso difendere i miei valori religiosi e culturali, e così facendo riesco meglio a difendere sia chi vuole indossarlo, sia chi non vuole indossarlo”. Per molte donne, anche islamiche, il velo invece è associato automaticamente all’oppressione.

 

“Per me è un modo di identificarmi visivamente come musulmanta credente e moderata. Serve per far vedere che cos’è l’islam autentico, quello tollerante e democratico. Lo associo alla libertà di scelta. Noi crediamo che per lottare contro un islam fanatico, devi lottare con l’antitesi. Devi sradicare il cancro. E per sradicare il cancro devi avere l’antitesi, il rimedio, e il rimedio è un islam democratico, un islam tollerante, quello che vive in pace e in amore e crede nella fratellanza con i cristiani e le altre fedi, e crede nell’uguaglianza”.

 

Il Consiglio nazionale della resistenza iraniana (Ncri) è soltanto una delle organizzazioni della dissidenza rispetto al regime di Teheran. Qual è la sua filosofia? “Finora, fino all’accordo nucleare, dicevamo sempre che la prima minaccia in assoluto era quella del regime iraniano con le armi nucleari. Ora quello che diciamo è: basta con le esecuzioni”. Una linea che quindi ha spinto questo gruppo a mutare anche le richieste rivolte ai leader occidentali, come per esempio Federica Mogherini, responsabile per la politica estera dell’Unione europea, e Matteo Renzi: “Dovrebbero visitare le carceri. Dovrebbero andare e raccontare quello che succede in Iran. Mogherini dovrebbe andare e a parte le visite ufficiali, dovrebbe lanciarsi in una missione di inchiesta indipendente, per mettere pressione sul regime. Dovrebbe andare a trovare la madre di Reyhaneh Jabbari, la ventiseienne che è stata giustiziata per essersi difesa contro uno stupro. Attualmente sua madre si sta dichiarando contraria al regime con grande coraggio, e lo fa con una pressione enorme. Mogherini dovrebbe andare a trovare questa madre e chiedere ufficialmente al governo come mai sua figlia sia stata giustiziata”. 

 

Il turismo telecomandato

 

Nel frattempo è iniziata una promozione dell’Iran anche come destinazione turistica. Su questo Zanjani ha idee piuttosto nette: “A questi turisti direi: state attenti e non andateci, innanzitutto. Perché sotto questo regime, ancora oggi, tante persone sono state arrestate. Ma quando vai lì come turista, fai un giro, e vai solo a vedere quel posto specifico e poi torni all’hotel che è sotto sorveglianza. Non vai certo a vedere quella via dove c’è la gru con il corpo che pende, questo non lo vedi, perché non ti ci porteranno. Vai solo in alcuni posti specifici dove il regime ha una sorveglianza”.

 

Cosa ne pensa del caso di Air France, che prima diceva alle hostess di mettersi il velo sui voli da Parigi a Teheran, e poi ha detto che le hostess possono scegliere di non lavorare su quei voli se non si vogliono coprire? E’ sufficiente come soluzione? “No, ritengo che sia sempre un arrendersi al regime… Sostengo le donne che credono che questo non sia giusto… Questo è un messaggio sbagliato. Sottolinea l’oppressione che esiste in Iran, quando uno straniero si deve piegare per venire incontro all’oppressione del regime… Questo è come dire, ‘Fate pure! Fate pure!’. Credo davvero che il messaggio più forte sarebbe: ‘Non dimenticate i diritti umani. Non trascurateli, perché la gente merita di vivere in libertà’”.

 

In conclusione, chiediamo alla giovane donna che effetto le faccia pensare che, per come stanno le cose attualmente, non potrà mai andare nel suo paese d’origine, l’Iran: “E’ molto, molto difficile. Voglio dire: è sempre quello spazio vuoto nel tuo cuore. Perché l’Iran è un paese così bello. Quando vedi le foto della natura, dei suoi monumenti storici, e poi vai al museo del Louvre di Parigi, vorresti tanto che il tuo paese fosse libero. Che la gente vi possa passeggiare liberamente, senza preoccuparsi di quel che succederà, se rischia l’arresto, se rischia la multa, se qualcuno la seguirà… E’ un dolore continuo nel cuore. Vorresti tanto che tutti potessero vivere in libertà, ma il popolo dell’Iran non si è arreso. E questa è la cosa più importante”.

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