Joaqín Guzmán il giorno del suo arresto, nel febbraio del 2014 (foto LaPresse)

La fuga del supernarcos rigetta il Messico nell'incubo nazionale

Eugenio Cau

Dopo la fuga di Joaquín "el Chapo" Guzmán dal carcere di Altiplano in Messico il governo è in crisi di credibilità e il paese preoccupato: cosa succede se adesso l'antico padrino rivuole il suo impero?

Roma. Nell’agenda del presidente messicano Enrique Peña Nieto c’erano due eventi importanti questa settimana: lunedì, una visita di stato in Francia, partner storico, con centinaia di imprenditori al seguito e accordi economici lucrosi per suggellare la “success story” del Messico. Mercoledì, la grande asta per le esplorazioni petrolifere che per la prima volta aprirà il ricco mercato energetico messicano agli investimenti privati, coronamento della più storica e difficile riforma del governo di Città del Messico. Invece sabato notte, in una casa costruita in poche settimane a Santa Juanita, quartiere di Almoloya de Juárez, a ovest della capitale, è sbucato da un tunnel nella terra Joaquín Guzmán Loera, detto “el Chapo”, il narcotrafficante più potente del mondo, evaso dopo 17 mesi di prigionia dal carcere di massima sicurezza di Altiplano, e il Messico è tornato al suo incubo nazionale.

 

“Imperdonabile”, aveva definito Peña Nieto pochi mesi fa un’eventuale fuga di Guzmán. La seconda dopo quella del 2001 dal carcere di massima sicurezza di Puente Grande, gioiello del sistema penitenziario in cui Guzmán si era comprato tutte le guardie, festeggiava a champagne e viagra e quando lo decise fuggì dentro a un carrello dei vestiti sporchi. Imperdonabile perché Guzmán lo ha fatto di nuovo, perché dopo il suo arresto ancora non erano finiti i proclami trionfalistici del governo che già i suoi uomini scavavano sottoterra un tunnel lungo un chilometro e mezzo, che iniziava dalla doccia nella cella di Guzmán e finiva a Santa Juanita, dotato di illuminazione e ventilazione e bombole d’ossigeno, alto abbastanza per consentire al Chapo, “il piccoletto”, di camminarci in piedi. Imperdonabile perché un tunnel così sotto alla prigione più sicura del paese lo scavi solo con la compiacenza delle guardie, oltre una trentina sono indagate, già si sussurra di contatti ad alto livello con deputati locali, e questo significa che dal 2001 non è cambiato nulla, che anni di proclami sulla trasparenza e sul ricostruire la fiducia (della gente, ma soprattutto degli investitori) nelle autorità sono passati per niente. Imperdonabile perché ormai la leggenda di Guzmán ha superato quella di Pablo Escobar, e il paese è terrorizzato, cosa succede se adesso si torna a ballare?

 

Peña adotterà misure dure per mostrare che il governo sa reagire, probabilmente Miguel Angel Osorio Chong (uno dei tre sulla copertina di Time di due anni fa, sopra al titolo “Saving Mexico”) sarà costretto a lasciare il ministero dell’Interno, ma la fuga di Joaquín Guzmán, l’uomo più ricercato del mondo dopo la morte di Bin Laden, rischia di trasformare il governo riformatore e giovane di Peña Nieto, citato dai media internazionali come esempio per i leader europei, in un carrozzone paralizzato dalla lotta al narcotraffico come era quello del suo predecessore. La peggiore tragedia per il Messico arriva nel momento più difficile del governo di Peña, impegnato in un’operazione di rilancio dopo mesi di scandali che prevedeva una campagna anticorruzione ormai buona solo per la satira online e una per il recupero della fiducia che dopo la seconda evasione del secolo è screditata. Le riforme economiche, già in affanno, rischiano di essere superate dalle priorità della sicurezza nazionale o affossate a causa della scarsa credibilità del governo.

 

[**Video_box_2**]Se le forze dell’ordine non riusciranno a ricatturare l’evaso in pochi giorni, Peña Nieto dovrà prepararsi a un periodo di turbolenze, perché difficilmente Guzmán andrà in pensione. L’evasione mostra che le connessioni (criminali, ma soprattutto politiche) del Chapo sono ancora vive, e che lui è pronto a tornare in attività. Prima dell’arresto governava sul cartello di Sinaloa, la più potente federazione criminale del paese, ma in due anni molti amici e avversari sono stati uccisi o arrestati (la lotta alla criminalità di Peña Nieto ha ottenuto molti successi, ma da sabato nessuno li ricorda più), la rete delle alleanze si è fatta più lasca, e nuovi gruppi sono emersi a contendere il dominio di Guzmán. Se l’antico padrino rivuole il suo impero, in Messico la violenza tornerà a esplodere.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.