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Dobbiamo dire addio al mito libertario della rivoluzione Bitcoin?

Alberto Brambilla

I banchieri non temono più le valute virtuali ma le demoliscono (in teoria) o se ne appropriano (in pratica). Il passato ritorna

Roma. Se i Banchieri centrali non temono più Bitcoin è lecito sostenere che il potenziale rivoluzionario attribuito alle valute virtuali sia molto ridotto? La domanda è aperta. Ma ci sono segnali che questo stia accadendo. Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha detto martedì che Bitcoin ha un effetto limitato sull’economia e non rappresenta una immediata minaccia per il controllo dell’offerta di moneta da parte delle Banche centrali. Draghi ha tuttavia sottolineato che le autorità devono continuare a condividere informazioni e monitorare gli sviluppi perché la sicurezza del cyberspazio è tema di preoccupazione. Le Banche centrali e l’industria finanziaria sono contrarie alla proliferazione di aziende che per longevità e affidabilità possano competere con le emissioni delle Banche centrali. L’idea (politica) delle monete create e scambiate nel cyberspazio che nell’ultimo decennio ha affascinato sostenitori, tecno-entusiasti, libertari, e anche speculatori sulle fluttuazioni di valore, è proprio quella di insidiare il potere di un’autorità centrale. Bitcoin cresce in popolarità dal 2009. Alcune società erano riuscite ad avere una reputazione come veicoli di scambio ma sono collassate perché inefficienti oppure perché gli imprenditori che le gestivano sono stati messi messi all’indice. Una delle accuse comuni è che i bitcoin possono essere usati per comprare stupefacenti in modo anonimo online (nessuno però pare avere arrestato un banchiere perché con i dollari o gli euro è possibile comprare droga nel mondo reale, eppure accade).

  

L’approccio delle maggiori Banche centrali è stato differente in passato. La Federal Reserve aveva un atteggiamento più tollerante verso le valute virtuali motivato dall’attenzione all’e-commerce in cui l’America primeggia. La Banca centrale europea, più giovane, era più assertiva con l’intenzione di ricondurre ogni moneta privata e virtuale all’interno del sistema bancario, a cominciare dalla richiesta di adeguamento alla norme di vigilanza cui si attengono gli intermediari tradizionali, compreso il requisito per cui le monete devono poter essere convertite, a richiesta, alla pari con l’euro. Di recente alcuni banchieri hanno criticato senza mezzi termini Bitcoin. Per Jamie Dimon di JPMorgan, prima banca americana, è una truffa ed è destinato a saltare in aria, se un suo trader la usasse lo licenzierebbe. Il presidente di Ubs, Axel Weber, ex governatore della Bundesbank, ha smontato la natura di Bitcoin che non può essere definito una moneta perché, tra suoi difetti, ha quello capitale di essere altamente instabile, con escursioni di valore giornaliere ampissime, e quindi non è una riserva di valore affidabile. La Bce ha premiato nel contest #EuroVideoChallenge 2017 un accattivante video-infografica che smonta col metodo del fact-checking alcuni “miti” e spiega perché le valute virtuali falliscono le tre funzioni della moneta: riserva di valore, come già detto, mezzo di scambio (i prezzi di un acquisto devono adattarsi al valore del Bitcoin in tempo reale, complicato), e unità di conto (il valore cambia ogni ora, assurdo). Il video infine suggerisce che l’euro in futuro potrà essere “una moneta virtuale di una Banca centrale”. E’ la stessa prospettiva suggerita dal pur scettico Weber in un’intervista al Financial Times. Il punto di caduta sembra, da un lato, quello di condurre le monete virtuali nell’alveo della finanza tradizione e, dall’altro, ricalcare l’innovazione tecnologica che hanno scatenato. La prima impressione si ricava dal fatto che il Chicago mercantile exchange a fine ottobre ha lanciato il progetto di creare un mercato dei futures sui Bitcoin in concorrenza con il Cboe, l’altro listino di Chicago. Bitcoin può diventare come una qualsiasi altra classe di investimento, come l’oro o le azioni, che possono essere scambiati da grandi investitori e soprattutto essere definitivamente regolamentati. “Questo è un passaggio molto importante nella storia dei bitcoin… lo regoleremo, lo renderemo non selvaggio, e non più selvaggio di prima. Lo addomesticheremo per farne uno strumento di investimento regolare con regole di scambio date”, ha detto Leo Melamed, presidente emerito del Cme. La seconda impressione deriva dalla volontà di sfruttare l’innovazione e scalare nel tempo l’uso del denaro fisico a favore di quello virtuale dato che i sistemi di pagamento via smartphone o altri supporti sono comuni e in crescita. Il processo di appropriazione dell’innovazione ricorda la storia del partito dei greenbackers nell’America di fine Ottocento, un’epoca che andò dalla sospensione della convertibilità delle banconote in oro e in argento, durante la guerra civile, fino al ripristino del sistema aureo nel 1879. I greenbackers ritenevano che identificare la moneta con l’oro celasse la volontà dei banchieri di controllarne il valore, e quindi i titoli cartacei non convertibili erano l’antidoto. Se il popolo genera un governo e il governo crea la moneta “noi creiamo la nostra moneta, la emettiamo, la controlliamo”, dicevano i greenbacker, parole che ricordano i princìpi libertari dei seguaci di bitcoin. Persero la battaglia con l’istituzione della Fed nel 1913, che creò uno spazio monetario sovrano basato su un sistema di parità aurea e una moneta di conto cartacea, il dollaro, biglietto verde o “greenback”. La storia, forse, si sta ripetendo.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.