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Come inseguire l'ambizione di lasciare il carbone

Maria Carla Sicilia

La strategia energetica italiana è più razionale di altre, ma la chiusura delle centrali dovrà trovare un approccio di mercato

Sette anni per chiudere le centrali a carbone che oggi in Italia rappresentano circa il 12 per cento del mix elettrico. L'obiettivo fissato dalla Strategia energetica nazionale su cui hanno lavorato i ministri Gian Luca Galletti e Carlo Calenda è secondo molti osservatori un obiettivo razionale: considerando l'assenza di generazione nucleare, la quota del carbone in Italia è estremamente inferiore a quella di altri paesi europei, uno su tutti la Germania, e anche l'ad di Enel, Francesco Starace ha detto pochi giorni fa che la misura "teoricamente è fattibile”. Ma l'uscita anticipata dal carbone ha un costo, abbastanza elevato, di circa 4 miliardi di euro e richiede una programmazione puntuale che ancora non è stata dettata. Come si raggiungerà questo specifico target è ancora da capire e d'altra parte, come hanno spiegato i ministri, “questa Strategia non va considerata un punto di arrivo, ma di partenza. Con la sua approvazione parte ora il lavoro per la preparazione del piano integrato per l'energia e il clima, previsto dall'Unione Europea”. La vera sfida, insomma, inizia adesso.

  

In Italia ci sono otto centrali a carbone, in mano a tre operatori con cui il governo dovrà ragionare per definire il piano di phase out. Due appartengono a A2A e uno a Ep produzione, e sono entrati in funzione tra gli anni 70 e 80, per cui si avvicinano al naturale processo di dismissione. Enel possiede cinque impianti e tra questi quello di Torrevaldiga Nord è il più giovane, attivo solo dal 2009. Chiuderlo prima del tempo potrebbe significare non recuperare tutti gli investimenti messi in campo. L'utility, d'altra parte, aveva già ipotizzato di dismettere tutte le sue centrali entro 15 anni e ora dovrà accelerare i tempi. Per arrivare al 2025 senza la generazione elettrica a carbone ci sono vari modi, ha spiegato Francesco Starace rispondendo a una domanda degli analisti durante la presentazione del piano industriale di Enel a Londra: “Potrebbe esserci un intervento statale che dica 'chiudete', ma si tratterebbe di un'impostazione dall'alto al basso difficile ai sensi delle norme europee. Servirà probabilmente un altro meccanismo che sia più vicino al mercato", ma anche "una serie di politiche che incoraggino questo cambiamento". Insomma, "il 2025 più che un obiettivo è una filosofia", ha detto l'amministratore delegato.

  

Di sicuro, la data del 2025, è un asso nella manica che il paese può spendere anche per rilanciare il proprio ruolo a livello internazionale, nel contesto delle politiche climatiche che avanzano tra grandi annunci e piccoli passi. Durante la recente Cop23, la conferenza sul clima della settimana scorsa a Bonn, Gian Luca Galletti ha stretto un'alleanza con una ventina di paesi, tra cui Francia e Germania, per l'abbandono del carbone. Forte degli impegni presi proprio con la Sen, il ministro dell'Ambiente ha anche annunciato che l'Italia si candiderà per ospitare la Cop26 del 2020. Di fronte alla Germania, alle prese con la formazione del governo e incapace di fare nuove promesse, e di fronte alla Francia, che proprio di recente ha fatto un passo indietro rispetto al phase out dal nucleare, l'Italia è apparsa determinata e sicura dei suoi obiettivi, che restano però tali fintanto che non si definisce un piano per raggiungerli.

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