Una manifestazione degli ambulanti No Bolkestein. Foto LaPresse/Vincenzo Livieri

Non solo Tap e Tav. Ecco la mappa degli impianti contestati in Italia

Maria Carla Sicilia

Secondo il rapporto del Nimby Forum sono 359 gli impianti a cui i cittadini si oppongono. L'energia conta per il 56,7 per cento. E spesso è colpa della politica 

La fatica di portare a termine un progetto industriale in Italia, dalle infrastrutture ai rifiuti all'energia, passa anche per le opposizioni locali che contestano la costruzione delle grandi e piccole opere. Ci sono esempi celebri, finiti sui giornali per via dell'importanza strategica degli impianti osteggiati, come il gasdotto pugliese Tap o la linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, ma molti altri progetti meno conosciuti sono oggetto di proteste e restano fermi al palo. Precisamente 359, secondo l'osservatorio Nimby Forum che ha presentato oggi i risultati del monitoraggio relativo al 2016, un dato in aumento del 5 per cento rispetto all'anno precedente. E se il motivo principale per cui insorgono i contestatori è la tutela ambientale, poi non risparmiano neppure gli impianti per produrre energie rinnovabili, che rappresentano il 75,4 per cento delle opere mappate dal Nimby Forum. In generale è proprio il comparto energetico a catalizzare le maggiori opposizioni, seguito da quello dei rifiuti. Stiamo parlando di inceneritori, gasdotti, impianti idroelettrici, pale eoliche, centrali a biomasse e di compostaggio, discariche e impianti per la ricerca e l'estrazione di idrocarburi. Tutte queste opere, spesso cruciali per raggiungere obiettivi nazionali fissati da normative statali o dalla comunità europea, sulla cui mancata costruzione l'Italia rischia procedure di infrazione (vedi il caso dei rifiuti), sono il 94 per cento di quelle su cui pende il “no” dei cittadini. Un terzo di queste nel 2015 è finito nel groviglio dei ricorsi, tra tribunali amministrativi e Consigli di Stato, subendo almeno un'interruzione nella fase autorizzativa.

  

  

Uno dei nodi che emerge dal rapporto è la comunicazione con i territori, sui cui l'impresa italiana sconta un gap rispetto agli altri paesi. L'esempio viene dalla Francia, da cui l'Italia ha preso spunto per introdurre nuove modalità di informazione e confronto per le opere pubbliche, in corso già da quest'anno. I tentativi di ricucire gli strappi con le comunità locali non mancano nel nostro paese, ma sono spesso tardivi e messi in atto a cantieri già aperti. I grandi gruppi si sono già posti il problema e sono scesi nel campo più utilizzato da chi contesta le loro opere, il web. Ma non è ancora sufficiente: le iniziative di comunicazione rimangono prerogativa degli oppositori per l'80 per cento dei casi. Così, tra social media e blog le ragioni di chi dice “no” volano in termini di condivisione e attraversano anche i confini locali, spesso alimentati da contenuti poco scientifici e approssimativi, veicolati da quelli che il rapporto chiama “influencer del No”. Tra questi non manca la politica, che anzi fomenta le opposizioni nel 50 per cento dei casi. Un dato elevatissimo, se si pensa che invece i comitati dei cittadini e le loro organizzazioni pesano solo per un terzo sull'insieme dei promotori. Uno dei fulcri di questa protesta è la Basilicata, terra ricca di giacimenti di idrocarburi, che conta 32 impianti contestati. Ma è nel nord Italia che si concentrano i comitati, con Lombardia e Emilia Romagna al primo posto della classifica, con 56 e 48 progetti di cui i cittadini farebbero volentieri a meno: se intorno a Bologna pesa di più l'opposizione a progetti che coinvolgono gas e petrolio, vista la concentrazione dei giacimenti nella regione, nei pressi di Milano rifiutano discariche e termovalorizzatori. E' l'Italia dei veti, che a volte rifiuta le opere nel proprio giardino e altre volte si oppone tout court senza tenere conto dei confini. Ma non è sempre una questione ideologica. In alcuni casi basterebbe solo comunicare – e trattare – meglio.

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