foto di Jeanne Menjoulet via Flickr

Basta con i proclami, scrive Politico.eu, l'Europa è "anti-sociale"

Francesco Maselli

Ieri in Svezia il vertice europeo sul lavoro. Perché la ripresa economica sta mascherando le crescenti divisioni all’interno degli stati

Roma. L’Europa anti sociale. Così Politico.eu descrive le politiche europee dal punto di vista dei sistemi di welfare, sostenendo che la ripresa economica sta mascherando le crescenti divisioni all’interno degli stati, che rispondono ognuno in modo diverso alle diseguaglianze create dalla crisi del 2007. I leader europei (tranne Angela Merkel, impegnata con le trattative per il nuovo governo) si sono riuniti ieri a Goteborg, in Svezia, per un summit sui diritti dei lavoratori. E’ il secondo incontro del genere nella storia dell’Unione, e il primo avvenne esattamente vent’anni fa. La volontà è chiara: l’Europa deve rispondere alle critiche di chi la dipinge soltanto come una zona di libero mercato che non si prende cura dei suoi cittadini.

 

Questi argomenti, spesso utilizzati da partiti di estrema destra ed estrema sinistra in modo pretestuoso, hanno però un fondamento: come si concilia il mercato comune con delle regole più stringenti dal punto di vista delle protezioni sociali, diverse in ogni paese? La direttiva sui lavoratori distaccati, in vigore dal 1996, è emblematica. Essa permette ai lavoratori dipendenti di un paese dell’Unione di poter andare a lavorare temporaneamente, per delle missioni precise, in un altro paese europeo. L’idea alla base della direttiva era semplificare le procedure burocratiche: i costi sociali del lavoratore, come i contributi previdenziali, restano quelli del paese di origine. Ciò comporta, però, che nel mercato del lavoro francese o tedesco un lavoratore con un contratto polacco o romeno costi molto meno al datore di lavoro di un dipendente con un contratto francese o tedesco. Una concorrenza definita “sleale” dal presidente francese Emmanuel Macron, che sta provando a cambiarla e che sta incontrando le resistenze dei paesi dell’est. E’ possibile uniformare i diversi sistemi di welfare, si chiede Politico.eu?

 

Gli stati europei sono 28 (presto 27, senza il Regno Unito), e ognuno possiede tradizioni molto diverse in materia di stato sociale. La differenza tra le politiche del lavoro danesi e quelle greche è molto grande, nota il sito europeo, ma lo è anche quella tra le politiche italiane e quelle danesi, o tra quelle greche e italiane. Politico.eu confronta, per esempio, le settimane di congedo parentale concesse ai padri. In Lussemburgo, Austria, Cipro, Repubblica ceca, Croazia, Slovacchia e Germania non sono previste, mentre in Slovenia, Finlandia e Portogallo arrivano fino a cinque. Il pil pro capite dedicato dai paesi europei alle spese sociali è tutt’altro che omogeneo. La Bulgaria spende 13.900 euro per abitante, l’Austria 36.700 euro, la Francia 30.000, il Portogallo 22.400. Per non parlare della diversa capacità di reagire agli shock economici: oggi la disoccupazione media in Europa è al 7,5 per cento, minore dei livelli pre crisi del 2007, ma la ripresa del mercato del lavoro non vale per tutti. In Grecia il tasso di disoccupazione è al 20.9, in Spagna al 16.9, in Italia all’11.3 in Francia al 9.7.Difficile riuscire a intervenire con strumenti sovranazionali in materie dove gli stati conservano gelosamente la propria sovranità. Eppure, nota il Financial Times, l’ascesa dei partiti populisti potrebbe aver cambiato la situazione politica per Bruxelles. Esistono aree, specialmente quelle di confine, dove la competizione tra i sistemi differenti danneggia i diritti dei lavoratori. Se l’Unione riesce a presentare se stessa e le sue politiche come in grado di proteggere i propri cittadini, continua il quotidiano finanziario, ha delle carte da giocare. Decisamente più convincenti delle vaghe e retoriche buone intenzioni che chiudono, monotone, ogni vertice europeo.

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