Anche Bruxelles certifica che l'Italia non è più il fanalino di coda

Marco Fortis

Erano anni che l’Italia non cresceva in maniera così forte. A dirlo sono i dati diffusi dalla Commissione europea

Siamo davvero sicuri che la notizia chiave delle ultime previsioni economiche appena diramate dalla Commissione europea sia che nel 2017 il pil italiano sarà quello con la più bassa crescita dell’Unione a 28 paesi? Se accettassimo l’idea che questo sia realmente il succo di tali previsioni non ci resterebbe effettivamente che continuare a crogiolarci nel nostro eterno scontento collettivo. Altro che agenda del buonumore! Altro che sperare che venga presto colmata la distanza tra l’Italia percepita e quella reale, come auspicava qualche giorno fa il direttore del Foglio. E poco importa che la Commissione europea, rispetto alle sue stime di primavera, abbia rialzato le previsioni di crescita del pil italiano per quest’anno da più 0,9 per cento a più 1,5 per cento: una delle rettifiche più ampie operate da Bruxelles. O che lo stesso commissario Moscovici abbia riconosciuto che erano anni che l’Italia non sperimentava una crescita economica così forte. Ci resterebbe comunque ancora appiccicata addosso l’etichetta degli eterni ultimi, persino in una fase come questa di forte ripresa dell’economia. Sicché il buonumore non riuscirebbe nemmeno a schierarsi ai blocchi di partenza, anziché partire di slancio e rappresentare un possibile fattore vincente sul traguardo della prossima campagna elettorale contro i pessimismi e i populismi.

 

Analizzando meglio la grande mole di dati che la Commissione Ue ci ha messo a disposizione emerge però un’Italia che non è affatto sempre l’ultima delle varie classifiche, anzi si colloca spesso tra i paesi migliori, non solo dell’Ue-27 ma anche nel confronto con Stati Uniti e Giappone.

 

Per quanto riguarda il pil abbiamo già messo in evidenza più volte in passato che la crescita dell’Italia degli ultimi 2-3 anni è stata inferiore a quella di altre grandi economie essenzialmente perché esse hanno potuto far crescere (talvolta parecchio) i loro consumi pubblici mentre noi non abbiamo potuto farlo, per i ben noti vincoli di bilancio, dato il nostro elevato debito pubblico. Escludendo l’apporto della spesa pubblica, in realtà, il Pil dell’Italia sta ormai crescendo da qualche tempo a ritmi poco distanti da quelli tedeschi e superiori a quelli francesi. E abbiamo altresì sottolineato che un ulteriore elemento che ci discrimina nella crescita economica, oltre a non poter fare spesa pubblica, è molto banalmente il fatto che la nostra crescita demografica è ormai pari a zero, mentre in altre grandi economie la popolazione continua ad aumentare. Il primo punto non sembra aver destato per ora la benché minima attenzione tra gli analisti italiani. Il secondo punto è stato invece analizzato soltanto da qualche isolato commentatore (ad esempio, lo ha fatto recentemente Federico Fubini sul Corriere della Sera).

 

Se consideriamo i paesi del G-6 e quanto sta scritto nell’appendice statistica del rapporto economico autunnale della Commissione europea possiamo così scoprire che già nel 2015 la crescita del pil pro capite dell’Italia (più 1,1 per cento) era stata superiore a quelle di Germania (più 0,9 per cento) e Francia (più 0,6 per cento) e non eccessivamente distante dalle crescite di Giappone (più 1,3 per cento) e Regno Unito (più 1,5 per cento), con gli Stati Uniti quell’anno nettamente davanti a tutti (più 2,1 per cento). Nel 2015, cioè, eravamo piazzati quarti su sei nella classifica dei grandi paesi avanzati per crescita del pil pro capite. Nel 2016, poi l’aumento del nostro pil pro capite è stato ancora dell’1,1 per cento, vale a dire esattamente come quello britannico, appena inferiore a quello del Giappone (più 1,2 per cento), ma migliore di quelli tedesco (più 1 per cento), francese e statunitense (in entrambi i casi più 0,8 per cento). Nel 2016, cioè, eravamo saliti al secondo posto ex aequo con la Gran Bretagna e appena dopo il Giappone per crescita economica per abitante nel G6. Infine, stando alle previsioni per il 2017, la crescita del pil pro capite nei paesi del G6 vedrebbe quest’anno la seguente graduatoria: primo Giappone (più 1,7 per cento), seconda Italia (più 1,5 per cento), terzi Stati Uniti (più 1,4 per cento), quarta Germania (più 1,3 per cento), quinta Francia (più 1,1 per cento) e ultimo Regno Unito (più 0,7 per cento). In definitiva, se guardiamo allo sviluppo in termini di pil pro capite l’Italia non è più ultima da tempo tra le grandi economie (come lo era ancora nel 2014) ma ha rimontato parecchie posizioni ed è diventata addirittura seconda nel G6 nel 2016-17. Un traguardo che appare ancor più significativo se si considera che nell’ultimo biennio l’Italia è stata, sempre tra i paesi del G6, quello che ha avuto il più basso incremento dei consumi finali della pubblica amministrazione, a riprova di quanto già sottolineavamo più sopra. La nostra crescita, cioè, è stata quasi tutta dovuta alla domanda privata (consumi delle famiglie e investimenti delle imprese).

 

Ragioni logiche per essere fiduciosi

 

Bastano questi due elementi per assicurarci un po’ più di buonumore? Sono indubbiamente già un bel passo avanti rispetto ai soliti lamentevoli titoli dei giornali e alla sindrome acuta del “fanalino di coda” che ci affligge inesorabilmente. Ma ci sono altri tre buoni motivi supplementari per essere un po’ più ottimisti-razionali sul nostro paese. Il primo è che la nostra economia si sta ammodernando e quindi diventa sempre più competitiva. Lo dimostrano i dati della Commissione europea sugli investimenti in macchinari e attrezzature: per questa voce l’Italia è stata prima per crescita tra i paesi del G5 (mancano le cifre per il Giappone) sia nel 2016 (più 7,1 per cento) sia nel 2017 (più 4,5 per cento). Ma non è tutto. Dalle statistiche di Bruxelles appare altresì evidente che nel quadriennio 2014-17 abbiamo governato bene i conti pubblici (prova ne è che il rapporto debito/pil si è stabilizzato). Infatti, l’Italia ha realizzato il terzo miglior avanzo cumulato primario dello stato in rapporto al pil (6,3 per cento) tra tutti i Paesi dell’Ue-28 dopo Malta e Germania e anche rispetto a Stati Uniti e Giappone. Dulcis in fundo, la nostra bilancia commerciale con l’estero in percentuale del pil sarà nel 2017 (3,1 per cento) la seconda migliore dopo quella tedesca tra i paesi del G-6. E la nostra bilancia delle partite correnti la quarta più alta in valore assoluto (in attivo per 42 miliardi di euro) dopo quelle di Germania, Giappone e Olanda in confronto a tutti i paesi Ue e del G-6. Ce n’è abbastanza non per illuderci che stiamo volando ma almeno per non perdere colpevolmente la coincidenza con il Frecciarossa del buonumore.

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