Foto di Drew Stephens via Flickr

Terrore bancario

Stefano Cingolani

Stampa sbirresca e commissione inquisitoria. Bankitalia, Bce e le fake news 

Roma. La commissione parlamentare d’inchiesta sulle crisi bancarie sta sfuggendo di mano. Nata per fare chiarezza senza se e senza ma, si è trasformata in una gogna pubblica che ha un solo imputato: la Banca d’Italia. Basta leggere il Fatto quotidiano di ieri che parla di “Caporetto della Banca d’Italia” additando Carmelo Barbagallo, il funzionario della Vigilanza messo sotto torchio, come nuovo “Cadorna”. A parte che Cadorna era il comandante in capo, non un generale di divisione, il quotidiano diretto da Marco Travaglio non si è limitato a mettere in rilievo errori, omissioni, sviste, responsabilità che accomunano sia i vigilanti sia (anzi soprattutto) i vigilati, ma ha preso posizione a favore della Consob. Il funzionario dell’istituzione che controlla la Borsa ha detto di non aver capito cosa gli aveva scritto la Vigilanza. In Via Nazionale non hanno la penna di Stendhal, ma Angelo Apponi, in commissione da 22 anni, poteva non sapere che cosa significa un prezzo delle azioni “troppo elevato rispetto ai benchmark di mercato” (come nei casi di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza)? O forse è prevalso il vecchio adagio “così fan tutte” e le popolari tutte lo facevano in barba a ogni indice di Borsa. E come mai, nella sua comunicazione del 2014 in cui sconsigliava la vendita di prodotti complessi ai risparmiatori al dettaglio, la Consob non ha incluso tra di essi le obbligazioni subordinate, che tanti danni hanno prodotto? Errori e omissioni, dunque, non mancano da entrambe le parti. Ma la lettura sbirresca della crisi bancaria non fa bene alla verità se davvero c’è voglia di cercarla.

    

Quale sia il bersaglio grosso di tutta questa manfrina è venuto fuori ieri e sarà messo in prima fila la settimana prossima quando il focus si sposterà sul Monte dei Paschi di Siena: si tratta, senza più schermi né veli, di Mario Draghi. Ieri la Stampa ha scritto che nel 2009 la Vigilanza avvertì l’allora governatore della Banca d’Italia, che c’era del marcio a Vicenza e da più parti viene sottolineato che era lui al comando nel 2007 quando Via Nazionale lasciò che il Montepaschi acquistasse l’Antonveneta a un prezzo esorbitante (ben 9 miliardi di euro) pur non avendo né il capitale né la liquidità necessarie. Fu un errore? Secondo alcuni sì, secondo altri, sia banchieri sia analisti non coinvolti, fu una scelta che va spiegata con quel che stava accadendo nell’anno in cui tutti compravano tutto a qualsiasi prezzo, in Europa non solo in Italia dove uno sportello bancario veniva valutato ben nove milioni di euro (come nel caso Antonveneta). Chissà se sentiremo davanti ai parlamentari l’autocritica di Giancarlo Ferretto, già presidente della Confindustria veneta e vicepresidente della Popolare di Vicenza in contrasto con Zonin: “Se il nord-est ha retto lo si deve anche alle banche popolari le quali, mentre le altre chiudevano i rubinetti, hanno continuato a erogare credito. Ma distribuivano utili che di fatto non avevano e incrementavano le azioni senza che ci fosse un corrispondente effettivo”. L’industriale si spinge più in là: “Noi risparmiatori abbiamo sbagliato, le abbiamo considerate mucche da mungere. Ogni anno distribuivano i dividendi e aumentava il valore delle azioni. Io per primo ho fatto questo errore. Dovevamo capirlo: mentre i titoli delle banche quotate in Borsa scendevano, quelli della BpV o di Veneto Banca continuavano a crescere. Eravamo come drogati”. 

    

Chissà se verrà ricordato quando i soci eccellenti della Vicenza votarono a favore di Zonin messo in mora dalla Banca d’Italia. C’erano tra gli altri la Cattolica assicurazioni e le Assicurazioni Generali (quotate in Borsa queste ultime quindi sotto l’attenzione particolare della Consob). Oppure se torneranno a galla i personaggi famosi che avevano investito molti milioni di euro nella Veneto Banca (Gianfranco Zoppas, Giuseppe Stefanel, Bruno Vespa, per esempio) e hanno sostenuto Vincenzo Consoli, direttore generale e padre padrone, fino alla vigilia dell’arresto, al termine di un percorso innescato dalla Banca d’Italia dal 2009. Quanto a BpV, la Banca d’Italia segnalò per la prima volta nel 2001 (governatore Antonio Fazio) che le azioni erano sopravalutate (quotavano 44 euro, saliranno a 62,5 nel 2011 l’anno della crisi del debito italiano). Intervenne la magistratura, ma il procuratore capo Antonio Fojadelli archiviò tutto. Nel 2015 venne cooptato nel consiglio della banca. Chissà se sarà ascoltato chi è in grado di ricostruire davvero quel tumultuoso 2007 mentre covava la crisi dei subprime. Banca Intesa era corsa a fondersi con il Sanpaolo di Torino perché Giovanni Bazoli aveva paura di venir preceduto dal Banco di Santander di Emilio Botìn che si è sempre detto fosse legato all’Opus Dei. Come risposta, Cesare Geronzi e Alessandro Profumo maritarono Capitalia e Unicredit con un placet bipartisan. Mps, per non essere tagliata fuori s’innamorò di Antonveneta. Almeno un paio di ispezioni avevano messo in guardia Giuseppe Mussari e i suoi manager al vertice di Mps, che prima di fare il passo bisognava aumentare il capitale. La risposta fu un maledetto imbroglio con operazioni finanziarie ad altissimo rischio che coinvolsero anche la Deutsche Bank (i derivati Alexandria e Santorini). Banca d’Italia doveva mandare i bravi da don Abbondio proclamando: il matrimonio non s’ha da fare? Il senno di poi spinge a rispondere sì. Tuttavia, e questa è un’altra circostanza importante, si dimentica che Draghi voleva segnare una forte discontinuità con il dirigismo dei decenni precedenti. Le banche non sono più enti pubblici, ma aziende private pienamente responsabili di fronte agli azionisti e ai clienti. E possono anche fallire. Niente più conciliaboli segreti a Palazzo Koch, niente più spartizioni a tavolino. Dalla commissione d’inchiesta sta emergendo una linea diversa, che punta a trasformare di nuovo la Banca centrale nel pianificatore centrale. E nel mirino dei moderni sanculotti non c’è solo Ignazio Visco. Vogliono il capo degli Indulgenti, vogliono Danton.