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La Co2 aumenta ma non è tutta colpa dell'uomo

Maria Carla Sicilia

Un nuovo fattore complica il contenimento del riscaldamento globale. E mentre i colossi petroliferi frustano la coalizione di Parigi, i governi usano solo slogan per parlare di decarbonizzazione

Secondo l'Organizzazione meteorologica mondiale, la quota di anidride carbonica nell'atmosfera ha raggiunto “con una velocità record il livello più alto degli ultimi 800mila anni”. Il livello di Co2, si legge nel bollettino presentato oggi a Ginevra, è stato pari a 403,3 ppm (parti per milione) nel 2016, aumentando di 3,3 ppm rispetto al 2015. Sotto accusa è l'incremento repentino della Co2 in un solo anno – “Non è mai stato così veloce negli ultimi 150 anni”, dicono gli scienziati del Wmo – e la cosa assume rilevanza perché le variazioni di anidride carbonica hanno sempre preceduto un'analoga variazione della temperatura globali. In questo caso la temperatura aumenterebbe, allontanando il raggiungimento dei target fissati dall'accordo di Parigi. Tuttavia, questa volta è scritto nero su bianco, la colpa non è dell'attività umana.

  

A causare questo aumento della Co2 nell'atmosfera, spiega il report, è stato in buona parte El Niño, un fenomeno climatico periodico, che si verifica ogni quattro-sei anni e causa l'aumento della temperatura delle acque oceaniche. Si parla di Niño quando l'Oceano Pacifico registra un incremento della temperatura di almeno 0,5 gradi per un periodo di tempo non inferiore ai cinque mesi. Nel 2015 il fenomeno è stato particolarmente intenso e ha portato a un aumento record di 3 gradi. Come spiega lo stesso bollettino del Wmo, tra il 2015 e il 2016 l'effetto del Niño è stato quello di “causare una forte siccità nelle regioni tropicali e di ridurre la capacità di foreste, vegetazioni e oceani di assorbire la Co2”. A questa condizione particolare si aggiungono le emissioni derivanti dall'attività umana, il cui incremento annuale, secondo il Global Carbon Project, citato dal Wmo, non solo è andato riducendosi ma ha anche raggiunto un livello stazionario. Eppure, se il target fissato dall'accordo di Parigi deve essere raggiunto, contenendo di 2 gradi il riscaldamento globale, serve tagliare le emissioni per bilanciare quanto determinato dall'evento naturale dello scorso anno. 

  

Venerdì scorso, a Londra, le dieci più importanti compagnie di Oil&gas hanno annunciato di voler investire in tre progetti che riguardano tecnologie low carbon. L'impegno economico era già stato preso nel 2016, quando aziende come Eni, Saudi Aramco, Total, Bp e Statoil costituirono un fondo da un miliardo di dollari per sostenere la ricerca in tecnologie capaci di ridurre le emissioni inquinanti, ma solo adesso si conoscono i dettagli delle prime tre iniziative. Uno dei progetti riguarda lo sviluppo di centrali a gas con sistemi di filtro e immagazzinamento del carbonio, su cui le società dell'energia puntano molto, ritenendo il gas naturale “parte fondamentale della transizione verso un futuro a più basse emissioni”, mentre le politiche europee non sembrano tenerne sufficientemente conto. Poi le compagnie investiranno sui trasporti, settore cruciale, puntando su motori innovativi e più efficienti e infine sulla produzione “sostenibile” di cemento, finanziando un'azienda americana nella ricerca di soluzioni meno inquinanti. "I tre investimenti – ha detto Pratima Rangarajan, ceo di Ogci Climate Investments – hanno il potenziale per produrre un impatto significativo sulla riduzione delle emissioni di gas serra". Ma tra le righe è anche un altro il messaggio che i ceo hanno mandato da Londra. “Abbiamo bisogno di politiche a lungo termine”, ha dichiarato l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, nel suo intervento. Perché se è vero che per raggiungere il target di Parigi serve un'intervento sulle emissioni, come oggi ricorda il Wmo, è altrettanto vero che le aziende devono poter programmare i propri investimenti. Così, se anche l'industria petrolifera si rimbocca le maniche, è tempo che facciano altrettanto le politiche internazionali, piuttosto timide nel dopo Parigi oltre che confuse rispetto alle priorità. Indicare il gas come fonte di transizione, mentre si sviluppano tecnologie in grado di contenere le emissioni è una strada. Sventolare manifesti politici “green” senza un programma è solo una distrazione, che manda in tilt il mondo industriale e non garantisce a conti fatti benefici all'ambiente.