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Studenti formati da una multinazionale. Succede da McDonald's, per fortuna

Guido Fontanelli

Dieci ragazzi di un liceo scientifico di Ravenna aderiscono al progetto di formazione scuola-lavoro e vengono impiegati in un fast-food. I soliti snob li criticano, ma la loro è una scelta giusta. Ecco perché 

Milano. “Idea, opinione concepita sulla base di convinzioni personali e prevenzioni generali, senza una conoscenza diretta dei fatti, delle persone, delle cose, tale da condizionare fortemente la valutazione, e da indurre quindi in errore”. Così il vocabolario Treccani definisce il termine pregiudizio. Ed è attraverso questa lente che alcuni ambienti intellettuali, insieme ai Cinquestelle e a frammenti della sinistra storica, guardano al mondo delle multinazionali, sempre e comunque sfruttatrici dei lavoratori e dell’ambiente. A volte le critiche sono fondate. Altre volte sembrano pretestuose.

 

Prendiamo il caso degli studenti di un liceo scientifico di Ravenna che hanno volontariamente deciso di aderire al progetto di formazione scuola-lavoro di McDonald’s: per alcune settimane lavorative non retribuite, i ragazzi sono stati formati al lavoro del fast food, servendo ai tavoli e battendo scontrini alla cassa (non potevano entrare in cucina per le normative sanitarie). La loro scelta è stata stigmatizzata subito da Giovanni Paglia, di Sinistra Italiana. E fin qui, niente di nuovo. Ma poi la storia è finita sulla prima pagina del Corriere della Sera, dove Massimo Gramellini ha scritto: “Se quei dieci potenziali ingegneri lavorassero gratis presso un falegname, un cuoco o un barbiere, penserei che stanno impiegando il loro tempo libero per apprendere i segreti dell’artigianato italiano. Saperli invece entusiasti di regalare le loro energie a una multinazionale che, date le sue dimensioni planetarie, non può che offrire dei lavori standardizzati e considerare i dipendenti dei numeri intercambiabili, mi fa capire che quei ragazzi ragionano in modo diverso”.

 

Come se andare a lavorare in un ristorante McDonald's fosse una scelta sbagliata. Invece fa capire come funzionano aziende complesse e di successo che devono offrire un servizio ineccepibile al cliente. Ma più in generale, lo snobismo anti-multinazionali fa dimenticare che una macchina come McDonald’s italiana con il suo miliardo di euro di fatturato rappresenta un formidabile aiuto per l’agricoltura made in Italy. Nei prossimi cinque anni, ha annunciato durante un convegno a Milano (organizzato da Panorama d'Italia) Mario Federico, amministratore delegato della McDonald’s italiana, la società investirà più di un miliardo di euro nel nostro paese, acquistando carne da 15 mila allevatori, pane, insalata, pomodori, formaggio per 200 milioni all’anno. La catena compra da fornitori italiani in media all’anno 360 tonnellate di mele, 7 mila tonnellate di pollo, 2.200 tonnellate di insalata, 166 tonnellate di parmigiano reggiano (l’equivalente di 3.500 forme). Difficile immaginare un altro operatore che faccia lavorare così tanto le nostre fattorie. Non solo: chi diventa fornitore della McDonald’s viene certificato e può quindi entrare nel giro internazionale del gruppo. Per fare un esempio, nei ristoranti russi della catena si mangia carne di Inalca (Cremonini) mentre in quelli svizzeri si condisce con olio italiano. Senza contare che nel giro di cinque anni la società ha creato 3.500 nuovi posti di lavoro, passando dai 16.500 del 2013 ai 20 mila attuali. E continua a crescere. 

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