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Il cambiamento climatico in banca

Maria Carla Sicilia

Bnp Paribas, Credit Agricole, Natixis, Societé Generale, Barclays, Morgan Stanley tagliano gli investimenti in idrocarburi e scommettono "green"

Roma. Le banche francesi hanno deciso di giocare un ruolo importante nel panorama energetico, influenzando gli orientamenti delle grandi compagnie impegnate nella transizione verso fonti di energia low carbon. La notizia che Bnp Paribas abbia deciso di non finanziare più progetti che hanno come principale leva quella della produzione di shale gas e shale oil ne è la prova. Gli investimenti saranno tagliati anche alle aziende che incentrano il loro business per oltre il 30 per cento sull'esplorazione, l'estrazione e il trasporto di idrocarburi e in tutti i progetti che si svilupperanno nella regione artica. “Siamo ancora un partner del settore energetico e siamo determinati a supportare la transizione verso un mondo più sostenibile”, ha detto oggi Jean-Laurent Bonnafe, amministratore delegato di Bnp Paribas. Non solo, da febbraio Bnp ha già smesso di finanziare le miniere e le centrali termoelettriche a carbone e non supporterà più compagnie minerarie che non diversificano le proprie fonti di energia. In una specie di rincorsa tra istituti di credito, subito dopo anche Societé Generale e Credit Agricole avevano comunicato ai propri azionisti di voler tagliare i fondi alle società minerarie.

  

D'altra parte il cambio di paradigma della finanza francese sposa perfettamente la linea della politica nazionale. Già all'inzio dell'anno, prima ancora che si insediasse Emmanuel Macron, il vento in Francia stava cambiando. A gennaio il governo ha istituito un “green bond” da 7 miliardi, affidando a un consorzio di banche la sua gestione. Le capofila del progetto sono Barclays, Credit Agricole, Morgan Stanley, Natixis e Societé Generale, oltre alla stessa Bnp Paribas, e i proventi di questa obbligazione sono vincolati verso progetti che promuovono lo sviluppo di energia rinnovabile. Ma se fino ad ora la tendenza era quella di aumentare gli investimenti in progetti sostenibili, oggi sembra che sia in atto una fuga di capitali dall'industria petrolifera. Complici gli obiettivi ambientali fissati dagli accordi sul clima di Parigi, che mettono gli investitori davanti alla necessità di pianificare nuove strategie finanziarie senza però dare loro la certezza che le politiche mondiali si muovano nella stessa direzione: gli obiettivi sono chiari, meno evidente è la road map per raggiungerli. Se i capitali abbandonano i progetti dell'upstream, chi continuerà a garantire che ci siano sufficienti riserve di gas e petrolio?